I soldi non ci sono. Ma occorre mandare segnali agli alleati di maggioranza e agli elettori. E la manovra è l’ultimo treno disponibile: poi le Camere verranno sciolte. Così la legge di Bilancio, ancora ferma in commissione al Senato, procede a rilento e si gonfia di impegni a basso costo. Bonus bebè, fondo per i caregiver familiari, taglio del superticket, rimborsi alle vittime dei crac bancari: basta la parola, poco importa se a ben guardare le cifre stanziate sono così basse che il beneficio sarà minimo o la platea molto limitata. Tanto che chi aveva sollecitato le misure è tutt’altro che soddisfatto. Nel frattempo resta ancora al palo l’ammorbidimento dei requisiti per accedere all’Ape social e l’estensione a tutto il 2018 della finestra per chiedere l’uscita anticipata dal lavoro pagata dallo Stato. L’emendamento del governo non è ancora arrivato, sempre per questioni di risorse. Per le promesse, invece, non servono coperture e si va a ruota libera. Dagli “80 euro a tutte le famiglie con figli” sognati da Matteo Renzi, che costerebbero circa 6 miliardi l’anno, alle pensioni minime a mille euro “doverose” per Silvio Berlusconi: qui il conto lievita a doppia cifra, ben oltre i 10 miliardi annui.

Il bonus bebè dimezzato dal 2019 – Gli alfaniani a inizio novembre avevano minacciato di non votare la manovra se non fosse stato rifinanziato il contributo di 960 euro annui riconosciuto dal 2015 alle famiglie a cui nasce (o che adottano) un figlio e che hanno un Isee non superiore ai 25mila euro. Una misura irrinunciabile di sostegno alla natalità, per Alternativa popolare. Richiesta accolta da Matteo Renzi, che durante la conferenza programmatica del Pd ha definito “priorità assoluta” gli aiuti alle famiglie, per le quali nella versione iniziale della manovra il governo Gentiloni aveva trovato solo 100 milioni di euro, poco più di 4 euro all’anno per ogni nucleo. Detto, fatto: l’assegno è stato reso permanente. Solo che i 185 milioni necessari ci sono per il 2018 ma non per gli anni successivi della programmazione triennale su cui è imperniata la legge di Bilancio. Risultato: nel 2019 l’importo mensile dell’assegno sarà dimezzato. Da 80 a 40 euro, per un totale di 480 euro annui. Proprio martedì l’Istat ha fatto sapere che nel 2016 in Italia sono nati 473.438 bambini, oltre 12mila in meno rispetto al 2015 e 100mila in meno rispetto al 2008. Maurizio Lupi, coordinatore nazionale di Ap, non fa i salti di gioia e assicura che “Nel passaggio del provvedimento alla Camera lavoreremo per trovare le risorse che servono a un suo rifinanziamento totale”.

Stop al superticket? Solo per chi ha redditi sotto i 15mila euro. “Beffa” – Figura ancora più magra sul fronte dell’invocata abolizione del superticket di 10 euro su visite specialistiche e prestazioni diagnostiche. “E’ arrivata la beffa“, ha commentato la senatrice di Articolo 1 – Mdp Lucrezia Ricchiuti. Il suo partito chiedeva di eliminare del tutto il balzello introdotto nel 2007 dal governo Prodi e reso operativo da Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti con la Finanziaria 2011. Ma sarebbe costato almeno 600 milioni di euro, senza contare che sono le singole regioni a decidere se applicarlo o meno e alcune – Valle d’Aosta, Sardegna, Basilicata, Province autonome del Trentino Alto Adige, Lazio da metà del 2017 – non lo richiedono. In ogni caso i 600 milioni non ci sono. L’emendamento di Campo Progressista approvato dalla commissione Bilancio del Senato ne stanzia un decimo: 60 milioni annui che andranno a finanziare un Fondo per la riduzione della quota fissa sulla ricetta. Risorse che gli enti locali potranno usare per escludere dalla compartecipazione alla spesa tutti i minorenni che frequentano la scuola dell’obbligo e chi ha un reddito inferiore a 15mila euro. Si noti che bambini e anziani con redditi familiari sotto i 36.150 euro annui erano già esenti così come disoccupati, pensionati sociali e pensionati al minimo e i loro familiari a carico con basso reddito, malati cronici e cittadini affetti da malattie rare in possesso dell’attestato dell’Asl, invalidi civili, di guerra, per lavoro e servizio.

Per i truffati dalle banche 25 milioni. “Insulto” – Che dire poi dei 25 milioni di euro di dotazione del Fondo di ristoro finanziario a favore “dei risparmiatori che hanno subito un danno ingiusto, non altrimenti risarcito o indennizzato, in violazione degli obblighi di informazione, diligenza, correttezza e trasparenza” previsti dal Testo unico bancario? Al netto della necessità di valutare quando c’è stato misselling – il Tesoro dovrà emanare entro 120 giorni dall’entrata in vigore della manovra un apposito decreto attuativo – con la cifra prevista dall’emendamento dei relatori sarà difficile rimborsare i miliardi bruciati dagli azionisti e obbligazionisti di Banca Etruria, Banca Marche, Carichieti, Cariferrara, Popolare Vicenza, Veneto Banca, Mps, Carige, Popolare di Bari… Secondo la firmataria dell’emendamento (ancora da votare) Laura Puppato (Pd), che a ilfattoquotidiano.it aveva raccontato di essere piccola azionista di Veneto Banca si tratta comunque di un “atto di grande sensibilità del governo e del parlamento italiano per lenire almeno in parte gli effetti di una truffa che è diventata spesso tragedia”. Le coperture arriveranno per due terzi dai conti dormienti, quelli non movimentati da oltre 10 anni, e per un terzo dal Fondo speciale di Garanzia. Per la Lega è un “insulto“, visto che “per archiviare questo vergognoso capitolo della storia bancaria italiana serve almeno 1 miliardo”.

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