Il giorno della morte di Riina e l’inizio della terza serie di Gomorra. Un segno che ci ha portato alla riflessione sulla criminalità in tv. 

Davide Venturi

La provincia di Napoli di Gomorra, la Roma di Suburra, la criminalità contro cui combatte l’ispettore Coliandro a Bologna e i casi minimal che interrompono i pasti di Montalbano. Ecco, caro Marra, non ti sembra che manchi qualcosa? Non è che la mafia, in questo periodo storico, sia troppo complessa per essere trattata in tv? O forse manca un ricercatore come Saviano capace di raccontare la realtà di questa criminalità organizzata senza usufruire di facili archetipi. Infatti, se ci pensi, la mafia in tv viene raccontata ora da serie come Rosy Abate, in cui il contesto criminale è solo una semplice cornice fatta di architetture drammatiche per lo più già viste. Ma il destino ha lasciato un simbolo: il giorno in cui il potente vecchio Riina muore, la terza serie di Gomorra si presenta al pubblico mostrando come la criminalità si sia ringiovanita. Non più boss di mezza età, ora morti o rottamati, ma una nuova classe criminale dirigente. Forse è questo il terreno che manca sotto i piedi alla cronaca di mafia e al suo racconto televisivo. Da qui la mia domanda: perché la mafia in tv non viene narrata degnamente come fenomeno dell’oggi?

Riccardo Marra

Caro Venturi, c’è stato un periodo in cui in Sicilia si è vissuto una guerra civile e che, lo dico da siciliano, il peso dell’onta era doloroso. Sillogismi Sicilia-Mafia erano nella bocca di tutti e la TV mica aveva tanta voglia di fare fiction su quest’aspetto. C’era la Piovra, sì, ma non è che ci si divertiva tantissimo. C’è stato qualche film di genere, è vero, ma roba di serie B. “Perché la mafia non viene narrata come fenomeno dell’oggi?” Mi chiedi. Perché forse fa meno paura (o si conosce meno), perché forse il cielo appare meno plumbeo di un tempo e nei TG non si racconta di un morto al giorno. Ai tempi delle stragi eravamo bambini, si facevano tesine a scuola sulla Mafia. La Mafia non era pop, la mafia era come l’Aids: faceva spavento, la sentivi vicina. E se la si raccontava in TV era per urgenza di cronaca, non per fiction. Giorni fa, nel quartiere in cui vivo (il Pigneto, a Roma) è apparso un enorme murales che mostrava una lupa violentata dal malaffare. Un bel lavoro non c’è dubbio, molto toccante, non fosse che era stato commissionato direttamente da Netflix per lanciare l’uscita di Suburra. Non ti sembra un cortocircuito? Attenzione, anche io sono stato conquistato da Gomorra e Suburra. Sono prodotti eccellenti. Però, qualche giorno fa, quel suono sordo, quel tonfo, quello scricchiolio di ossa rotte mi ha riportato all’oggi. E lo ha raccontato Nemo a telecamere accese.

Articolo Successivo

Grande Fratello Vip, Giulia De Lellis rischia la squalifica? La frase choc sui bidelli: “Sono tutti handicappati”

next