Inesorabilmente, ogni anno, sono gli impietosi risultati delle indagini sulla qualità della vita a ricordarci come la città di Roma si stia drammaticamente allontanando dalle grandi metropoli europee. La Capitale è ormai avviata verso un inarrestabile processo di “indianizzazione” che si coglie nel suo centro, abitato da clochard e mendicanti, ma soprattutto nelle sue periferie, dove intere comunità, vittime della dimenticanza istituzionale, restano intrappolate nella povertà e condannate alla marginalizzazione, conseguenza ultima di trentennali politiche urbanistiche segnate dal rifiuto.

L’ultima ricerca di Associazione 21 luglio analizza l’argomento complesso e controverso dei matrimoni precoci e altro non è che l’ennesimo tassello che si aggiunge nella narrazione di una porzione di città reale sprofondata nel buio di un sottobosco urbano abbagliato dai riflettori mediatici solo in occasione di episodi criminali.

Quello dei matrimoni precoci non è un fenomeno sconosciuto nel mondo. Ogni anno, 15 milioni di ragazze si sposano prima di aver compiuto la maggiore età. I Paesi maggiormente interessati sono il Niger, la Repubblica Centro Africana, il Mali. In Europa al primo posto c’è la Georgia seguita dalla Turchia. In Italia non esistono sino ad ora statistiche in grado di quantificare il fenomeno, considerato comunque residuale, generalmente interpretato attraverso una lente culturalista e attribuito esclusivamente a gruppi minoritari, quali comunità rom, famiglie dell’est asiatico e di recente immigrazione.

La ricerca Non ho l’età ci presenta il fenomeno dei matrimoni precoci nelle baraccopoli della città di Roma. Sono stati raccolti i dati dei matrimoni avvenuti nel corso degli ultimi due anni presso le baraccopoli della Capitale, su una popolazione totale superiore alle tremila unità. I numeri danno poco spazio ai commenti. Il tasso di matrimoni precoci osservati presso le baraccopoli romane è del 77%. Un punto in più del Niger che, con il 76% rappresenta il Paese al mondo con il maggior numero; 58 punti in più rispetto al record europeo della Georgia Nell’estrema periferia della Capitale, quella dove sorgono baracche e container malmessi, una ragazza su 5 si sposa tra i 13 e i 15 anni ed una su 2 in un’età compresa tra i 16 e i 17 anni. L’unica differenza riscontrata tra le ragazze delle baracche romane e quelle dei Paesi asiatici o dell’Africa sub-sahariana riguarda l’età tra gli sposi, che nella periferia romana ha una media di soli tre anni.

Quello del matrimonio precoce non è un punto di partenza ma un punto di arrivo, rappresentando il sintomo di un corpo sociale deprivato e sofferente, un segnale di allarme sulle condizioni socio-economiche in cui sono racchiuse comunità marginalizzate. Non è certamente un caso se nel mondo i matrimoni precoci registrino un tasso doppio nelle aree rurali rispetto alle aree urbane, e una ragazza dal titolo di istruzione elementare sia doppiamente esposta al matrimonio precoce, rispetto alla sua coetanea con un titolo superiore. In questo caso, il ricorso a tali pratiche matrimoniali, spesso erroneamente ascrivibili a tradizioni e culture, è in realtà innescato e amplificato da oggettive condizioni di deprivazione economica ed esclusione sociale.

E’ questa la chiave di lettura per una corretta interpretazione del fenomeno. Il valore della verginità e le forme di controllo su di essa, così come la consuetudine del matrimonio riparatore sono infatti trasversali a diversi gruppi umani e appartenenti a contesti molto distanti da quelli delle baraccopoli romane. Sempre il contesto abitativo sembra rappresentare l’elemento cardine su cui si fonda un disagio che poi si esprime anche nella pratica del matrimonio precoce. Nel nostro Paese, Roma è Capitale anche e soprattutto del disagio abitativo.

L’ha sottolineato nei giorni scorsi il rapporto della Caritas sulla povertà. Secondo i dati del report sono circa 7.500 i romani che si trovano nella povertà estrema, circa 15mila senza fissa dimora. Nelle baraccopoli formali e informali vivono almeno settemila cittadini, in prevalenza originari della Romania e dell’ex Jugoslavia, tutti suddivisi in nuclei familiari, dove la presenza dei minori raggiunge il 50%.

Sono soprattutto i giovani a cercare vie di uscita dal buco nero della periferia estrema. “Molti fanno dei matrimoni ingiusti – racconta Anita, adolescente che nella baraccopoli c’è nata – Non stanno bene nella famiglia e non vedono l’ora di cambiare la propria vita e la cambiano verso il matrimonio. Non è una cosa giusta”, sussurra sconsolata scuotendo la testa.

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