In un dibattito pubblico imbarbarito ma soprattutto banalizzato, vediamo se si riesce a polemizzare, duramente ma con assoluto rispetto, almeno con un osservatore galantuomo e relativamente affine come Ezio Mauro.

In un suo articolo su Repubblica Mauro […] pone la questione delle prospettive della sinistra, con una critica al Pd che ci si sarebbe atteso ponesse in discussione la questione storica delle “due sinistre” italiane. […] Non esiste, nello specifico nazionale italiano, il generico contrapporsi tra una sinistra “di governo, riformista” e una “di opposizione, radicale”. […] Il discrimine all’interno della sinistra italiana è sempre passato tra un liberalismo dinamico, aperto da subito alle contaminazioni e alla convergenza di obiettivi con la parte più consapevole e non massimalista del socialismo, e un massimalismo popolare ma spesso populista, non di rado vandeano, allergico alla democrazia liberale e alla cultura delle regole, pronto all’assalto al cielo ma indisponibile ad applicarsi pazientemente a due tre cambiamenti incrementali. […].

Alla radice della sinistra liberale, democratica, socialriformista (più tardi si dirà azionista, ma recuperando una denominazione non a caso ancora risorgimentale) si è posto il nome e l’opera di Gaetano Salvemini; dal suo magistero culturale e politico generano il giansenismo liberale e rivoluzionario di Piero Gobetti, il revisionismo radicale e innovatore di Carlo Rosselli, il liberismo duttile e anticorporativo di Ernesto Rossi, il federalismo ambizioso e radicale di Altiero Spinelli.

Nella stessa traccia si inseriscono due liberali a tutto tondo come Francesco Saverio Nitti e Giovanni Amendola. E di lì vengono Ugo La Malfa, Mario Pannunzio e molti amici del “Mondo”, Fuà e Sylos Labini, ma pure Villabruna e perfino (destinati entrambi a derazzare non poco) Marco Pannella ed Eugenio Scalfari.

È una sinistra che ha il culto fondante della libertà e della modernità, democratica e religiosamente rispettosa delle istituzioni; parlamentarista con ogni convinzione; custode del più rigoroso costituzionalismo; laica fino all’anticlericalismo; welfarista ma anticorporativa; moderna, aperta all’innovazione, coraggiosa e mai pietista né assistenzialista.

Con la sinistra massimalista, fattasi presto bolscevica, ha scontri epici; da quando […] Camillo Berneri, viene massacrato dai filosovietici; fino all’opposizione furiosa e sorda del PCI al riformismo del primo centrosinistra.

Esiste dunque per stare a sinistra una condizione culturale e politica che è di per sé opposta all’eterno costume delle destre nazionali, e questa è […] il liberalismo. Ma guai a farci i conti, per carità. […] Per questo con la caduta del Muro di Berlino è suonato antistorico e immotivato il refrain di tutte le destre a chiedere una “Bad Godesberg italiana” agli eredi del PCI; perché […] era invece con questa “altra sinistra” liberale, democratica, socialriformista (nel frattempo si era detto azionista) che occorreva fare i conti.

Invece si è preferito reclutare qualche laico in svendita, annegandolo in un mare di cattolici assoldati nelle varie Cose una, due tre, enne. Ma restando tetragoni a difesa di quella sinistra seppellita dalle macerie dei Muri, delle sue prassi, della sua cultura, dei suoi limiti. Della sua storia.

Tutto questo nel pezzo di Mauro non è nemmeno accennato di passaggio. E allora perché chiedersi, nel suo pezzo, cosa possano fare per questo terreno diserbato gli ectoplasmi di una radicale ormai riconvertita al centrismo come Emma Bonino; o addirittura un dignitosissimo massimalista che ha passato tutta la vita a sinistra dell’ultrasinistra, come Giuliano Pisapia, oggi incredibilmente accreditato come “riformista” (lui!) a causa solo della solita togliattiana disponibilità degli eredi del comunismo a coprire il fianco sinistro al solito becero destrorso di sinistra.

Stavolta il Renzi […] portato al governo senza passaggio elettorale da un signore comunista che esultava per i carri armati in Ungheria; e due volte plebiscitato a capo del Pd dalla mitizzata “base” comunista, che per la democrazia parlamentare non ha mai avuto simpatia, nemmeno da quando ha smesso di oliare gli otturatori dei fucili conservati in cantina in attesa di un cenno dal “Partito” per l’inevitabile rivoluzione sociale. Ma che anche un uomo come Mauro cada nel tranello e riduca un dibattito secolare alla cosina letta ieri sulle colonne di Repubblica dispiace stavolta veramente troppo.

[Il testo integrale di questo intervento è nel “nonmollare” n.9]

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