L’Italia va fuori dai Mondiali, il calcio italiano tocca il fondo e nulla rischia di cambiare: per il momento è saltato solo il ct, Gian Piero Ventura, mentre il presidente Carlo Tavecchio si è aggrappato alla poltrona e ha buone possibilità di rimanerci, tra veti incrociati della politica e paura del vuoto di potere che si creerebbe. Ma in passato è già successo un’altra volta: nel 1958, con la storica ed adesso non più ultima mancata partecipazione alla Coppa del Mondo in Svezia. E allora fu rivoluzione: commissariamento della FederCalcio, azzeramento dei vertici, inaugurazione del centro tecnico di Coverciano e svolta decisa verso il futuro del professionismo. Così sarebbero arrivati i trionfi del decennio successivo.

I “RICCHI SCEMI” DEL ’58 – 15 gennaio 1958: la nazionale di Alfredo Foni perde 2-1 in trasferta contro l’Irlanda del Nord e dice addio ai Mondiali. È il “disastro di Belfast”. Il primo a saltare, oggi come allora, fu proprio il commissario tecnico. Ma in quel caso il terremoto non si fermò al primo capro espiatorio di turno, anche se ci vollero sette mesi per arrivare al commissariamento della Figc. All’epoca Tar e Consiglio di Stato erano meno invasivi, e il presidente del Coni aveva più margine di manovra di quanto ne abbia ora Giovanni Malagò (che ha le mani legate, e pur volendo non può commissariare la Federazione, a meno che non sia lei stessa a richiederlo). Anche l’allora numero uno dello sport italiano, Giulio Onesti, ebbe però le sue difficoltà, un lungo tira e molla col presidente Figc, Ottorino Barassi, concluso nella famosa lettera dei “ricchi scemi”, attualissima ancora oggi. “La Nazionale di calcio rimane la più fiacca e mediocre rappresentativa che lo sport italiano possa esprimere in qualsiasi settore. Come si conciliano le spese da nababbi con le disastrose situazioni dei bilanci delle società? Oggi, noi ci facciamo ridere dietro da mezzo mondo, come i ricchi scemi del calcio”. Dopo queste parole di fuoco, Barassi si arrese e gettò la spugna, aprendo le porte al commissariamento che durò esattamente un anno e da cui il calcio italiano sarebbe uscito profondamente trasformato.

ZAULI E LA SVOLTA VERSO IL PROFESSIONISMO – La grandezza di Onesti fu quella di scegliere la persona più adatta (Bruno Zauli: dirigente valido, grande conoscitore di sport), nonostante fosse un suo nemico dichiarato. Malagò, tanto per fare un esempio, sarebbe capace di fare altrettanto o punterebbe piuttosto su uno dei suoi uomini di fiducia? Sta di fatto che sotto la guida sicura di Zauli, la FederCalcio cambiò volto. Fu rivisto lo statuto innanzitutto, con la divisione tra dilettanti, semiprofessionisti e professionisti che resiste ancora oggi, introducendo la ponderazione dei voti per dare più peso ma anche più responsabilità ai grandi club. Basti dire che quando si tornò alle urne, fu eletto presidente Umberto Agnelli, imprenditore e presidente della Juventus; mentre il suo predecessore Barassi era un dirigente vecchio stampo che veniva dal mondo del dilettantismo. Fu un salto nel futuro del professionismo e della Serie A che si apprestava a diventare il più grande campionato del mondo.

GIOVANI E COVERCIANO – La rivoluzione partì dalla governance ma investì anche gli aspetti tecnici. Proprio nel 1958 Zauli inaugurò il centro tecnico di Coverciano (in realtà progettato già sei anni prima), che sarebbe poi diventato una delle eccellenze del calcio italiano invidiata in tutto il mondo, la casa della nazionale, il luogo di formazione dei migliori allenatori. Da lì, sotto l’ala protettrice di Ferruccio Valcareggi, uscirono Enzo Bearzot e Azeglio Vicini, la filiera di ct che per quasi due decenni ha guidato con ottimi risultati la nazionale. Oggi all’Italia gli allenatori bravi non mancano di certo (si pensi ai vari Ancelotti, Conte, Allegri, e via dicendo), un’operazione del genere si potrebbe ripetere orientandola sui giovani calciatori. Questo fu l’altro punto della rifondazione: con le Olimpiadi di Roma 1960 alle porte, si cercò di metter su una formazione competitiva, puntando sui migliori talenti in erba piuttosto che su vecchi mestieranti (c’era ancora la regola del dilettantismo per i Giochi). Nella squadra che davanti al pubblico di casa ottenne un dignitoso quarto posto, giocavano i giovanissimi Gianni Rivera, Tarcisio Burgnich, Giovanni Trapattoni che avrebbero poi fatto la fortuna della nazionale maggiore. Quello fu il primo passo anche per la creazione della rappresentativa Under 23, precursore dell’attuale Under 21, che sarebbe stati istituita 10 anni dopo.

10 ANNI PER RIVINCERE – La storia, insomma, insegna che le grandi sconfitte possono portare a grandi rivoluzioni. C’è anche un altro precedente: pure nel 1986 la Federazione scelse spontaneamente la strada del commissariamento dopo l’eliminazione dai Mondiali messicani (e la mancata qualificazione a Euro ’84); e anche in quel caso fu l’occasione per un importante riassetto interno, con il cambio della governance, la riforma della giustizia sportiva, l’introduzione dei primi veri parametri economici per l’iscrizione al campionato. Oggi, invece, tutto rischia di rimanere com’è, tra la prospettiva di un Tavecchio-bis e l’alternativa di un pericoloso vuoto di potere. Una cosa è certa: comunque si concluda la crisi politica della FederCalcio, risalire non sarà facile. Dopo il disastro del 1958 ci vollero dieci anni per rivincere: nel ’62, in piena fase di transizione, al Mondiale in Cile si presentò la nazionale degli oriundi che rimediò una figura barbina; nel ’66 in Inghilterra una generazione fortissima fu eliminata dalla Corea. L’Italia dovette aspettare gli Europei di casa del 1968 per tornare grande (tutt’ora unico trionfo in campo continentale), e poi essere protagonista ai Mondiali del ’70. Ogni rifondazione richiede pazienza: meglio non perdere altro tempo.

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