Il G7 per le Pari Opportunità che si è concluso ieri a Taormina sembra sia l’ennesima dichiarazione di intenti, un’occasione mancata nel fare un passo in avanti per passare dalle parole ai fatti e permettere che l’avanzamento dei diritti delle donne nel mondo sia una realtà.

Stupiti? Non molto. Non abbiamo scoperto l’acqua calda al G7, nessun paese dei 7 raggiunge la pari opportunità che restano un miraggio per tutti. L’Italia svetta tra i Paesi che arretrano come indica il rapporto del World Economic Forum Global Gender Gap Index 2017. Peggio dell’Italia solo Cipro e Malta in Europa. Nel 2017 l’Italia è in 82esima posizione su 144 Paesi in fatto di uguaglianza di genere. Solo l’anno scorso eravamo in 50esima posizione e nel 2015 sul gradino 41 del rapporto. Questo indice si compone di dati relativi alle disparità sul lavoro, sia in termini di partecipazione sia di salari, la rappresentanza politica e la salute.

E’ quasi ridondante dirlo ma senza le pari opportunità le discriminazioni e la violenza non finiranno mai!

Allora viene da chiedersi perché i cosiddetti Paesi più ricchi del mondo continuano a riunirsi a porte chiuse e non coinvolgono la società civile che lavora sul tema, o al limite, meglio ancora, perché i e le politiche, nonché i loro sherpa-addetti ai lavori, non fanno propri i materiali di analisi e i documenti che producono le organizzazioni internazionali che forniscono raccomandazioni super partes, come il World economic forum, l’Ocse, l’Onu? Tra tutti in primis si dovrebbe considerare il Comitato Cedaw (Convenzione per l’eliminazione di tutte le discriminazioni contro le donne)* che ogni quattro anni monitora l’avanzamento dei diritti delle donne in ogni Paese.

L’Italia dovrebbe esserne a conoscenza perché questo anno è stata monitorata presso le Nazioni Unite a Ginevra dal Comitato Cedaw.

Fondazione Pangea assieme alle altre associazioni di donne e per i diritti umani, riunite nella “Piattaforma italiana Cedaw Lavori in corsa” hanno redatto un rapporto ombra, ovvero un documento parallelo a quello scritto da governo, per fornire una analisi indipendente e reale della condizione delle donne nel proprio paese e delle carenze a cui lo Stato deve ancora far fronte.

Tale documento è frutto di un esercizio di intelligenza collettiva e di confronto tra tante donne e organizzazioni impegnate della società civile ed ha evidenziato quanto non emerge dal rapporto 2016-2017 del governo italiano.

Il Comitato Cedaw a fine luglio ha elaborato delle Raccomandazioni all’Italia volte a indirizzare le istituzioni affinché possano colmare il divario che ci separa da un sostanziale avanzamento dei diritti e attuazione delle politiche di pari opportunità in Italia.

Ad oggi l’Italia non ha ancora tradotto queste raccomandazioni. Lo ha fatto però in maniera informale la “Piattaforma Cedaw lavori in corsa” per la parte più sostanziosa di quel documento. Inoltre è stata lanciata una lettera alle istituzioni per chiedere dopo oltre i primi 100 giorni dalle raccomandazioni, di tradurre le raccomandazioni per intero e di incontrarsi con la Piattaforma per iniziare a parlare di quelli che sono i temi più attuali e impellenti. Se le ministre e i ministri italiani prendessero maggiormente in considerazione il sapere e gli sforzi delle associazioni impegnate da anni in questo settore, forse il gender gap italiano non sarebbe peggiorato e a Taormina si sarebbe potuto avviare un reale percorso di miglioramento per il futuro delle donne in Italia come nel mondo, anche per il contrasto alla violenza. Un’occasione persa? Sì, un’altra.

* La Convenzione per l’Eliminazione di Ogni Forma di Discriminazione Contro le Donne – Cedaw – è stata adottata dall’Assemblea Generale dell’ONU nel 1979 e ratificata dall’Italia nel 1985 La CEDAW è il trattato internazionale più completo sui diritti delle donne. Gli Stati che firmano e ratificano la Convenzione si impegnano ad adottare misure adeguate per garantire pari opportunità a donne e uomini in ambito sia pubblico che privato.

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