Liquidità per sedici milioni di euro, gioielli e società immobiliari capaci di produrre rendita: questo il patrimonio di Veronica Lario. E allora no, decisamente non si può non essere d’accordo con la sentenza che le ha tolto l’assegno di mantenimento (anche se non è chiaro come la Corte possa chiedere anche la restituzione dei sessanta milioni di euro percepiti dal 2014 ad oggi). Fin dalle prossime ore e nei prossimi giorni questa sentenza attirerà la massima attenzione dell’opinione pubblica, specie maschile. Che metterà da parte le sue opinioni politiche per dire, come già sta facendo, che si tratta di una decisione è giusta, perché è assurdo e inverosimile che una ex moglie debba ricevere un assegno divorzile mensile di 1,4 milioni, senza alcuna ragione. Non c’è dubbio, ripeto, che ciò sia vero, e spero pertanto che non ci siano donne che invece reputino la decisione scandalosa visto quanto ha dovuto subire Veronica Lario da Berlusconi, e cioè i numerosi e ripetuti tradimenti e l’offesa della sua dignità di moglie e madre. Tutto questo, però, non c’entra con il divorzio e con l’assegno divorzile. In questo caso, stiamo parlando di una moglie ricchissima, che quindi ha realmente tutti i mezzi per mantenersi da sé.

Temo invece, purtroppo, che saranno più le donne indignate che ritengono, sbagliando, l’assegno di mantenimento di Veronica Lario una sorta di risarcimento morale, di quante invece commenteranno negativamente e con giusto allarme non questa sentenza, ma quella da cui questa deriva, ovvero la decisione dei giudici nel caso del divorzio dell’ex ministro Grilli. Perché quella sentenza, invece, crea un problema enorme non per le rarissime Veroniche Lario in circolazione, ma per la stragrande maggioranza delle donne italiane che si trovano in mezzo a una causa divorzile o ci si troveranno prossimamente.

Chiarisco subito: trovo giusto che un ex marito non debba essere costretto a mantenere lo stesso tenore di vita a una donna diventata a lui estranea, specie quando per mantenere il tenore a lei deve finire sotto i ponti lui, o comunque fare vita veramente grama. Il problema che qui nessuno sta mettendo a fuoco è un altro: non si può, come quella sentenza in qualche modo indica, considerare i due ex coniugi come due persone improvvisamente separate, ciascuna con i suoi redditi e il suo lavoro, indipendentemente da ciò che è accaduto durante gli anni in cui si stava insieme. Ha detto Anna Bernardini De Pace, una delle avvocatesse che purtroppo sta portando avanti la bandiera della moglie responsabile e autosufficiente senza rendersi conto che in questo paese mancano le condizioni perché ciò avvenga, che il principio di solidarietà che univa marito e moglie durante il matrimonio finisce del tutto nel momento in cui le due persone si lasciano. E che a quel punto è chi chiede un assegno di mantenimento che deve dimostrare di non avere i mezzi per mantenersi da sola.

Su questa frase c’è da riflettere: se io per tanti anni ho vissuto all’insegna del principio di solidarietà, il che significa che posso aver fatto scelte considerando noi come una coppia unita, non come due singoli, come posso improvvisamente vivere come se questo principio non ci fosse più? Tantissimi gli esempi. Se io rinuncio ad un lavoro importante per seguire te in un’altra città, e tu sei d’accordo; se io decido di lavorare poco perché tu fai un lavoro importante e sei stressato in modo da poterti aiutare e sostenere e te approvi contento questa scelta; se noi abbiamo figli e tu stesso mi chiedi per favore di rallentare col lavoro o stare a casa perché lo stress con due lavori full time e dei bambini è altissimo, mentre quando uno dei due, inutile dire chi, rallenta l’armonia è maggiore e stanno bene anche i bambini; se tu mi chiedi di assistere tua madre, perché tu fai un lavoro impegnativo che porta molto reddito, mentre io guadagno poco e dunque è più logico che lasci. Ecco, come può un giudice considerare unicamente il punto di arrivo, e non quello che è successo negli anni?

Perché l’altro problema fondamentale è questo. Cosa significa sopravvivenza per i giudici? Se una donna ha una casa di proprietà ma non ha reddito, ha diritto a un assegno? Per Bernardini De Pace no, è autosufficiente, e io la sfido onestamente a vivere in quel modo. Oppure. Se un uomo ha fatto una grande carriera arrivando a guadagnare, ad esempio, 5000 euro e la moglie ne prende 1000 a dire tanto, ha diritto ad un assegno? Per i giudici no, e neanche alla casa, se non ci sono i figli. Il che significa che questa donna, che ha vissuto in un relativo benessere, diventerà povera. Certo, anche i mariti separati spesso diventano poveri. Ma in ogni caso non posso scrivere, come alcune hanno fatto, che questa è una legge che conviene alle donne. Per niente, ci annienta, semmai.

Affronto l’ultima obiezione, quella fatta da molte persone, e esplicitata sempre dalla Bernardini De Pace. Donne, lavorate, e non fate le mamme! Bene. Allora vorrei dire per prima cosa che nel paese in cui il gap tra i salari è tra i più alti d’Europa e dove la precarietà è soprattutto femminile, il lavoro spesso non basta ad essere autonome. I giudici dovrebbero tenerne conto, anche quando invitano la donna che magari non lavora a rendersi rapidamente autonoma, garantendolo solo un assegno a tempo (questo è, a quanto pare, ciò che accadrà). Ma se io ho 45 anni e due figli, come lo trovo rapidamente un lavoro? Secondo invito: non fate solo le mamme: bene. Allora dovremmo smettere anche di fare figli. Perché non ci potete chiedere di lavorare full time, per guadagnare 800 euro, per tornare a casa stremate, occuparci dei bambini ma al tempo stesso far finta che tutto questo stress non ci sia per mantenere l’armonia familiare.

A volte il compromesso, in questo paese chiamato Italia dove lavoro part time sicuro e ben pagato non esiste, si chiama stare a casa per due o tre anni, oppure si chiama, appunto, divisione dei compiti, in base a quel principio di solidarietà matrimoniale che ci ora ci state chiedendo di non mettere in pratica perché poi finirà. Ma non era forse un valore? E se viene meno la solidarietà, allora viene meno anche il senso del matrimonio, o mi sbaglio? A voler essere coerenti con quanto dice la De Pace, non bisognerebbe sposarsi affatto. Questo dunque è il messaggio vero da dare alle giovani: l’Italia non è un paese per sposarsi e fare figli. Non le frasi fatte e stereotipate su quanto sia bello, nel paese che non lo permette, essere mogli, mamme e lavoratrici. Con lo stesso principi poi, vedrete, ci toglieranno anche la pensione di reversibilità: non dovremmo forse essere autonome e responsabili? Ma per favore.

B.COME BASTA!

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