Da una parte raccontano che il dialogo è in corso, che sia tutto un confabulare per trovare punti di contatto e ricucire, fare una sorta di “accordo quadro” e provare a ribaltare lo scenario inquietante che si profila nei collegi con il centrodestra unito e il centrosinistra alle urne in ordine sparso. Dall’altra, la risposta è cinematografica e telegrafica: “Citando il noto filosofo, a leggere di questa ‘grande trattativa’ cado dalle nubi”, ha twittato Pier Luigi Bersani spazzando via il retroscena di Repubblica che vorrebbe Matteo Renzi pronto al dialogo con tutti i partiti alla sinistra del Pd, compresi i big andati via sbattendo la porta. Tentando più l’ex segretario che Massimo D’Alema, considerato l’ultimo dei mohicani assieme a Nicola Fratoianni di Sinistra Italiana.

Ci sono anche i pontieri e gli argomenti di dibattito, le assi sulle quali costruire se non una casa comune almeno la tenda per ripararsi dal possibile 75 su 109 nei collegi delle sette Regioni settentrionali prospettato dall’ultimo sondaggio di Ipsos. Ecco quindi che il ministro Dario Franceschini con Mdp e Gianni Cuperlo con Campo Progressista sono autorizzati a mettere sul piatto le due promesse di Renzi: addio al racconto di Mille giorni perfetti al governo, sguardo rivolto al futuro. Della partita farebbe parte perfino una parziale marcia indietro sul Jobs Act, sul quale – racconta Repubblica – il segretario del Pd sarebbe disposto ad ammettere che servono modifiche sui contratti a tempo indeterminato perché “devono ancora crescere”. Una verità che i numeri dell’Istat raccontano da tempo, ma che l’ex presidente del Consiglio ha sempre ignorato preferendo rilanciare i “segni più” gonfiati da tempi determinati e stagionali mentre dalla sponda opposta si faceva notare proprio che quei nuovi posti di lavoro erano panna montata.

Una giravolta questa trattativa che parte dopo l’ennesimo tirar dritto di Renzi: “Il 40% è vicino”, aveva dichiarato dopo il voto in Sicilia come a dire che il Pd poteva pure far da sé. Così Bruno Tabacci di Campo Progressista ha subito messo in chiaro quel che pensa dei dem: “Devono svegliarsi un po’. Se Renzi pensa di fare la coalizione così, promettendo che raggiunge il 40%, non ci siamo”. Eppure nell’entourage del segretario pensano che proprio il movimento di Giuliano Pisapia sia il più avvicinabile di tutti, perché l’ex sindaco di Milano “non andrà mai con Bersani e D’Alema”, ma intanto ha pronta la sua aspirante presidente del Consiglio: Laura Boldrini. Il fondatore di Campo Progressista dà un colpo al cerchio (accusando di “deriva testimoniale” chi si ostina a non dialogare) e uno alla botte con quel “senza discontinuità è il Paese che perde” che strizza l’occhio alle ultime dichiarazioni d’intenti sul Jobs Act che Renzi ha lasciato filtrare sui giornali. Ma proprio la sua candidata in pectore frena: “Allo stato attuale, di fronte a tante espressioni di indisponibilità, non sembrano esserci purtroppo le condizioni per una alleanza con il Pd”.

E se in questo bailamme di nomi, incontri, dialoghi più o meno esistenti, il tentativo di “maggioranza di scopo” prima di andare al governo dovesse fallire, la minoranza del Pd ha già pronto un documento di critica alle politiche di Renzi negli ultimi per tracciare il confine delle responsabilità. Firmatari Andrea Orlando e Michele Emiliano, sul quale il fascino di Piero Grasso pare sia sempre più forte e non a caso il governatore della Regione Puglia è tornato a scalciare prepotentemente negli ultimi giorni, dall’analisi del voto siciliano alla Tap. L’ennesimo redde rationem, che nelle intenzioni del segretario va evitato nei prossimi quindici giorni. Altrimenti, liberi tutti.

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