Qualche giorno fa ho risposto, nello spazio posta del Fatto, a un lettore. Mi faceva notare come i 5 Stelle non fossero riusciti a intercettare gli astenuti in Sicilia. E’ stato uno dei dati più significativi di quella tornata elettorale. Gli astenuti, ormai, sono ormai maggioranza assoluta. Non solo in Sicilia. Quando si parla di astensione va sempre divisa in “attiva” e “passiva”: i secondi non votano perché se ne fregano, i primi non votano perché non appartengono. Nel primo caso è menefreghismo colpevole, nel secondo è dolore autentico. Ed è a questa seconda categoria che mi sto principalmente riferendo adesso.

Il Movimento 5 Stelle non è riuscito, se non in minima parte, a intercettare i delusi e gli scontenti. Nonché gli indifferenti. Proprio sul Fatto, in un’intervista di Luca De Carolis, Alessandro Di Battista ha affermato che d’ora in poi i 5 Stelle non parleranno più ai/contro i partiti, ritenuti a torto o a ragione “morti”, ma si rivolgeranno agli “indifferenti”. Sono loro a dover essere convinti e coinvolti. Per quanto forza antagonista, in Sicilia i 5 Stelle hanno più che altro intercettato (anche col voto disgiunto) l’elettorato del Pd e della sinistra. Non gli astenuti. Dal canto suo, Matteo Renzi non intercetta più nessuno, se non al massimo i Faraone e le figuracce (peraltro spesso sinonimi).

Ho trovato oltremodo calzante la recente sintesi di Gustavo Zagrebelsky, secondo cui siamo passati dall’antipolitica, intesa come “la gente è arrabbiata”, all’impolitica, intesa come “l’elettorato vuole essere lasciato in pace”. Per meglio – o peggio – dire: molti italiani ne hanno piene le palle. E non credono più a niente e nessuno. Confesso di sentirmi sempre più parte del gruppo. Per carità, alle prossime elezioni tutto farò fuorché astenermi, ma solo perché il farlo significherebbe votare quella cancrena putrida e purulenta per brevità chiamata “renzusconismo”. Di sicuro la mia partecipazione politica è ai livelli minimi. E non sta certo capitando solo a me.

Vi ricordate il prodigioso monologo Il voto di Giorgio Gaber e Sandro Luporini? A un certo punto il Signor G diceva: “No, perché non è mica facile non andare a votare. Soprattutto non è bello farlo così, a cuor leggero, o addirittura farsene un vanto. C’è dentro il disagio di non appartenere più a niente, di essere diventati totalmente impotenti”. Appunto. E non è un bel quadro.

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