“Abbiamo una banca, anche se preferiremmo di no”. Si potrebbe sintetizzare così il sentimento di milioni di contribuenti italiani nel vedere finalmente pubblicati i conti al 30 settembre del Monte dei Paschi di Siena. La stato di salute dell’istituto senese ricapitalizzato pochi mesi fa dal Tesoro non è dei migliori, come certifica la radiografia dei primi nove mesi dell’anno e anche quella relativa al solo terzo trimestre (giugno-settembre). Sarà interessante vedere come reagirà Piazza Affari alla riapertura delle contrattazioni, dopo che il titolo era stato riammesso al “buio” (cioè senza conoscere i conti) il 25 ottobre scorso a un prezzo di gran lunga inferiore rispetto a quanto sborsato pochi mesi prima in sede di aumento di capitale.

Il dato più eclatante è quello delle perdite: MontePaschi chiude i primi nove mesi del 2017 con 3 miliardi di rosso a fronte degli 849 milioni di euro dello stesso periodo del 2016, mentre il risultato operativo netto è negativo per addirittura 3,57 miliardi (530 milioni di rosso nei primi nove mesi 2016): è la conseguenza di nuove rettifiche di valore per “deterioramento crediti, attività finanziarie e altre operazioni” per 4,9 miliardi di euro, quasi il doppio delle rettifiche operate l’anno precedente, quando la banca stava inutilmente tentando di raccogliere nuovi capitali sul mercato. A vedere le cifre di oggi, si capisce bene perché il bubbone MontePaschi è stato scaricato sui contribuenti. Il grosso delle rettifiche è stato effettuato sul perimetro dei crediti deteriorati oggetto di cessione (operazione che peraltro deve ancora partire) per adeguarne il valore di bilancio al prezzo di realizzo. Il complesso dei crediti deteriorati in capo alla banca senese ammonta a ben 45 miliardi di euro e viene da chiedersi quante ulteriori rettifiche dovranno essere fatte in futuro, dato che tali crediti sono iscritti a bilancio a cifre palesemente fuori dalla realtà e dato che la Bce non consentirà di trascinare all’infinito questa situazione.

Vero è che il via libera europeo al salvataggio pubblico preclude la possibilità per Siena di distribuire dividendi, ma è anche vero che di questo passo, anziché tornare all’utile, la banca finirà per accumulare perdite e per erodere anche le risorse iniettate con la ricapitalizzazione preventiva. Da Siena però l’amministratore delegato Marco Morelli cerca di gettare acqua sul fuoco e durante la conference call di presentazione dei risultati agli analisti si spinge a dire che “quello che la banca ha fatto negli ultimi 12 mesi a livello di gestione del portafoglio degli npl con la creazione di team dedicati alla qualità del credito” rende Mps pronta “ad affrontare il cambiamento in quello che è il contesto normativo o una revisione del modo in cui debbano essere gestite le inadempienze probabili”. Staremo a vedere.

Intanto, sotto il profilo industriale, le cose non sembrano andare molto bene: il margine d’interesse è in flessione del 9,5% nei primi nove mesi dell’anno, le commissioni nette sono calate del 13,5% anche a causa dei costi della garanzia pubblica sulle emissioni della banca, la raccolta diretta è diminuita di 1,6 miliardi (stabile invece quella indiretta), le nuove erogazioni a famiglie e aziende sono diminuite del 29,7%.  I valori positivi o i miglioramenti che si registrano (come ad esempio il risultato netto da negoziazione e delle attività/passività finanziarie che ha impattato anche sui 242 milioni di utile del terzo trimestre) sono essenzialmente il frutto contabile della ricapitalizzazione preventiva da parte dello Stato e del cosiddetto burden sharing, così come il miglioramento dei ratios patrimoniali.

Per contro, le quote di mercato si sono finalmente stabilizzate (sembra terminata la fase acuta dei deflussi di clientela) e nel terzo trimestre l’attività è un po’ ripartita, ma è davvero poco per cantare vittoria e vaticinare il ritorno alla redditività della banca su cui peraltro pende la spada di Damocle della giustizia penale e di cause di risarcimento miliardarie. Come questo possa alla fine trasformarsi in un buon affare per lo Stato azionista e per i contribuenti è ancora tutto da capire. Sarà già tanto se non verranno chieste altre trasfusioni di denaro, ma il rischio che Siena finisca con il trasformarsi in una sorta di “Alitalia delle banche” resta purtroppo molto alto.

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