Liu Lijin, meccanico, è una persona gentile, paziente. Difficile che si arrabbi. Però quando qualcuno ha avuto il cattivo gusto di buttare una di quelle biciclette a noleggio nella siepe davanti alla sua officina, la calma l’ha persa: “Non c’è più senso della decenza”, ha borbottato tirandola su, “ci trattiamo l’un l’altro come se fossimo nemici”.

Ci sono 16 milioni di biciclette nelle strade delle città cinesi. Settanta e più aziende si fanno una guerra feroce per conquistare la loro parte di quota di mercato, forti dell’oltre miliardo di dollari in supporto finanziario di cui godono. Settanta e più aziende che hanno modificato il panorama delle città con le loro biciclette dotate di Gps e lucchetti digitali. Sono biciclette che non hanno parcheggi dedicati, non sono previste postazioni fisse. In termini tecnici si parla di Bike-Sharing, ovvero bici condivise, a flusso libero. Quando se ne trova una a portata di mano, anzi di pedale, la si noleggia e quando si è arrivati a destinazione si chiude il lucchetto e la si lascia dove capita, dove fa comodo. Dove fa comodo a chi l’ha usata, non preoccupandosi degli altri. Ci si ritrova con biciclette abbandonate più che parcheggiate: sopra ai marciapiedi, al bordo della strada, in mezzo al nulla. A decine di migliaia scompaiono: rubate, smontate, modificate. Per non parlare della tribù dei vandali, di cui fanno certamente parte anche molti cittadini esasperati, che le usano per addobbare alberi e cespugli, rinforzare fondamenta e colate di cemento, per non parlare di quelle che vengono buttate in laghi e fiumi, o navigli, come di recente accaduto a Milano. Tutto il mondo è paese. Il Bike-Sharing sembra capace di modificare –in peggio-  il comportamento dei cittadini.

La domanda che ci si pone qui in Cina è se questo fenomeno non abbia fatto emergere delle debolezze occulte nel comportamento dei cinesi, un degrado e un declino del decoro e della moralità del paese.

“Guardiamo i nostri comportamenti e ci chiediamo cosa ci sia di sbagliato in noi, nel nostro paese”, afferma Xu Qinduo, commentatore politico per la China Radio International a Pechino. Sono in molti a essere fieri dei risultati economici conseguiti e della crescita dello status internazionale della Cina –il Congresso Centrale appena concluso lo ha sottolineato in tutti i modi- ma in molti sono preoccupati della mancanza di un forte senso della morale.

Vandalizzare le biciclette riflette la mentalità dominante in Cina, ovvero ognuno per sé, ricordando che, data la sua latitanza d’ufficio, Dio non c’è per tutti. Una morale che deriva dai tanti, troppi anni di estrema povertà generata dalle violenze e dallo sfruttamento di soggetti terzi. Eppure i cinesi si considerano gente che rispetta le leggi, non per nulla il tasso di criminalità è relativamente basso.

Si comincia a discutere sulla validità del concetto, tutto cinese, del suzhi: la qualità interna delle persone, un’entità che comprende e combina il comportamento, l’educazione, l’etica, l’intelligenza, il gusto. Quando un cinese critica il cattivo comportamento di un altro cinese dice che ha un basso suzhi.

Vengono anche suggerite altre spiegazioni. Secondo la scuola di antropologia cinese, fra i cui fondatori c’è Fei Xiaotong con il suo lavoro seminale del 1947 Xiangtu Zhongguo (in inglese tradotto “From the Soil”, le radici della cultura cinese sono nella società agricola, dove i singoli appartengono e sono dipendenti da una piccola cerchia di parenti e amici, quindi diffidenti nei confronti di chi non ne fa parte, degli stranieri. La proprietà pubblica, condivisa, non trova motivo di esistere. Viene considerata come qualcosa senza una proprietà e quindi se ne può trarre vantaggio. Usarla, consumarla, vandalizzarla, farla propria. Quando è così abbondante poi, perché sentirsi in colpa? Sono ovunque: entrate dei parchi, uscita di metropolitana, fermate di autobus, piazze, incroci, università, scuole, edifici pubblici, davanti ai grandi negozi. A Shangai, secondo dati ufficiali, c’è una bici ogni 16 persone. Si lascia alla cura del lettore calcolare, conoscendo il dato sulla popolazione, quante possano essere. Sono così tante da generare proteste, lamentele, interventi della forza pubblica che sequestra montagne di biciclette. Per non parlare della rabbia evidente dei tassisti e altri addetti al trasporto privato che si sentono minacciati nei loro affari.

Se questo è vero per Pechino e le altre grandi città cinesi, perché a Milano accade più o meno la stessa cosa? Vero che anche la nostra di cultura ha antiche radici contadine, ma non ci sono guidatori di risciò lungo i navigli, allora perché spedire a mollo le bici? Dice Sergio Basso, autore del progetto-indagine su come vengono usate, sequestrate e vandalizzate le 12mila bici milanesi di Ofo e Mobike: “Penso che chi spacca e rende inutilizzabili i mezzi lo fa con un obiettivo economico, mi sembra un’operazione troppo sistematica per essere opera di bande di sfaccendati” (vedi S. Bettoni, Corriere.it, 2.11.2017).

C’è poi chi se la nasconde in cortile, chi se la porta su a casa, chi la chiude con un lucchetto per essere certo di ritrovarla. Peccato che non sia sua.

Davvero siamo “tutti pezzenti”, come afferma sconsolato Sergio Basso? Il nostro suzhi, perché lo abbiamo anche noi, è davvero così sottile? Se la risposta è affermativa, occorre intervenire alla svelta.

Come? C’era una volta una roba chiamata “Educazione civica”…

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