Non ci sono altri cinque anni di tempo. Domenica la Sicilia sceglie il suo nuovo governatore e non può sbagliare. Perché affidarsi a schieramenti infarciti di condannati, indagati e semplici voltagabbana, oltre che magari inetti, rischierebbe di essere una condanna definitiva per la Sicilia. E anche per l’Italia.

Davvero domenica in Sicilia si decidono le sorti del nostro Paese, almeno come fino a oggi abbiamo inteso l’Italia.

Non c’è più tempo per i fatalismi, la rassegnazione, il “tanto non cambia niente”. Ora o mai più: la Germania corre, la Francia con le sue imprese compra decine di società italiane. Le statistiche sull’economia, l’occupazione, l’istruzione e la sanità ci ricordano ogni giorno che l’Italia è indietro. Ma è indietro soprattutto il Sud. Perdere il Meridione, questo succederebbe se si sbagliasse ancora una volta la classe dirigente, sarebbe perdere l’Italia.

Non solo: sancirebbe ancor di più la divisione irrecuperabile tra Nord e Sud del Paese. Non passa giorno senza che le statistiche – oltre che la nostra esperienza di ogni giorno – ci ricordino l’enorme divario tra le due metà dell’Italia. Prendiamo soltanto oggi: a Milano il 54% dei certificati pubblici sono online, a Napoli zero. A Palermo il 12%.

Ancora: soltanto il 14% dei turisti stranieri va oltre Roma e visita il Sud. Che non è certo meno ricco di bellezza del Nord.

È una condanna per il Meridione. Ma rischia di trascinarsi a fondo anche il resto d’Italia. Soprattutto diventerà un elemento irrecuperabile di frattura tra i due poli del Paese. Oggi la distanza è soprattutto economica, ma dal denaro poi nascono divisioni sociali e culturali.

Non è ancora così, facciamo qualcosa prima di finire come Madrid e Barcellona. Il referendum in Veneto è un campanello d’allarme che non possiamo ignorare. Alcune delle rivendicazioni dei cittadini veneti – non tutte, e non i modi, magari – devono essere ascoltate. La solidarietà tra regioni non deve produrre, però, un’ingiustizia. Non deve premiare chi amministra male, chi arraffa.

Non si può abbandonare il Sud, questo è chiaro, ma non si può nemmeno continuare così. Non è una condanna del Meridione e della gente che ci vive. L’Italia senza Sicilia non esiste. Perché è forse la regione più bella del nostro Paese. Perché, ancor più, è parte fondamentale della nostra cultura, del nostro modo di sentire.

I punti di partenza, per sperare in un rilancio che cominci domenica, sono forse responsabilità e orgoglio. Due parole che sono tanto care alla gente di Sicilia. Responsabilità non come fardello e colpa, ma al contrario come consapevolezza del proprio valore. E poi orgoglio: il desiderio di non essere visti come rimorchio del Paese (sempre fanalino di coda in tutte le classifiche), ma come elemento trainante. È il posto che la Sicilia si merita.

Allora, però, non si possono più tirare in ballo le colpe dei borboni e dei Savoia. Come dicevano Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella nel loro libro ‘Se muore il Sud’. Il destino della Sicilia dipende dal valore della classe dirigente che i siciliani si sceglieranno. Ecco la responsabilità: il destino della Sicilia è in mano agli elettori. Altri cinque anni di tempo non ci sono. Per loro e per tutta l’Italia.

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