Sguardo da ribelle attraversato da lampi di un’inquietudine esistenziale, la 25enne Giorgia D’Eraclea frontwoman della band lombarda Giorgieness, si erge a portavoce di una generazione instabile, la sua, che vive sulla propria pelle un precariato emotivo e lavorativo che non offre certezze. Nel nuovo disco, il secondo, intitolato Siamo tutti stanchi, dà libero sfogo alle proprie inquietudini e frustrazioni con canzoni che prendono spunto dal vissuto del suo ultimo anno: “Scriverle –  afferma la cantante – è stato come scomporsi in piccoli pezzi, rimetterli insieme e accorgersi di vivere in un mondo più ampio e complesso di quel che si pensava”, come peraltro già cantava nel lavoro precedente “come quel puzzle a cui manca un pezzo, io sono nata con questo difetto” e come la copertina testimonia. I testi, che partono da vicende personali o ispirati da trame di libri o film, diventano universali ed è questa la loro forza. Il titolo, invece, “rispecchia il periodo storico che stiamo vivendo” e la stanchezza di cui parla “è fisica, ma soprattutto mentale, che nasce dalla paura di fallire”.

Composto da 10 canzoni dalle sonorità prevalentemente pop-rock, il brano manifesto della Avril Lavigne in versione italica, è Avete tutti ragione, che “parla di quando ti senti sommerso dalle critiche e dai consigli che suonano come verità calate dal cielo e in quei momenti devi capire se stai sbagliando davvero o se, semplicemente, sei fatto in modo diverso. Capire se quello sbaglio è per te fondamentale, sapendo però che non sempre chi sembra avere la verità in mano sa di cosa sta parlando”.

Calamite, uno dei singoli che ha anticipato l’uscita del disco, “è un pezzo ispirato al discorso di Claudia nel film di Federico Fellini 8½, così come Dimmi dimmi dimmi, che però si porta dentro anche una buona dose di sofferenze e nodi irrisolti. Vecchi è la title track in qualche modo, ed è il pezzo che ha sbloccato tutto. Lì dentro – spiega Giorgia D’Eraclea – ci sono tutte le cose che non mi piacciono di quello che vedo attorno a me, molta autocritica e un tu che è rivolto a quelle poche persone in grado di farmi ragionare. Mentre Essere te fa parte di quel filone di scrittura pirandelliana, quasi una costante opposizione tra autocritica, perdono di se stessi e critica dell’altro.

Buona parte nasce dal libro di Memorie di Alda Merini, in cui tratta la figura del poeta come colui che soffre della sua sofferenza, ma allo stesso tempo vi è molto legato e quasi geloso. Che cosa resta è il più grande vaffanculo che io abbia mai scritto, e nemmeno sono io la voce narrante…”. Segue il brano Controllo, uno sguardo interno alle dinamiche di coppia, quando tra le mura domestiche si insinua la violenza fisica e psicologica. Parla di quel legame per cui entrambi pensano di essere innamorati, ma quell’amore è malato, criminale per dirlo con Franca Leosini, e porta molta vergogna in chi subisce questa violenza, tanto da nasconderla a chi sta fuori”. Chiudono l’album i brani Umana che è una dedica a me stessa, al momento in cui sono crollata e rialzata per andare avanti, come potevo e coi mezzi che avevo” e Mya, un pezzo complesso che parla di dipendenze, affettive e non. Ognuno può vederci la sua malattia, quella che ti accompagna per tutta la vita e devi imparare a conoscere e tenerle testa”.

Come si può intuire, non è propriamente un disco buono per un ascolto disimpegnato: Siamo tutti stanchi, infattiva assimilato lentamente, concentrandosi sulle parole, provando a inquadrarne l’orizzonte entro il quale è stato creato,  per capirne appieno il significato che dietro si cela.

 

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