L’Italia precipita in quanto a ‘gender gap’. Non solo le pari opportunità restano un miraggio, ma va sempre peggio rispetto ad altri Paesi in giro per il mondo. A registrare questa situazione è il World Economic Forum nel ‘Global Gender Gap Index 2017’. L’Italia è in 82esima posizione su 144 Paesi presi in esame in fatto di uguaglianza di genere. Ai primi posti ci sono, invece, quei Paesi in cui si fanno più passi avanti per colmare il gender gap. I primi dieci sono Islanda, Norvegia, Finlandia, Rwanda, Svezia, Nicaragua, Slovenia, Irlanda, Nuova Zelanda e Filippine. Che sono tutti di molto avanti a noi. Solo lo scorso anno eravamo cinquantesimi, mentre nel 2015 eravamo al 41° posto della classifica. Tra i fattori che conducono l’Italia verso i Paesi meno virtuosi anche la quota di lavoro quotidiano non pagato (o pagato non adeguatamente) che raggiunge il 61,5% per le donne italiane contro il 22,9% per gli uomini. Nell’elaborazione della classifica sono stati analizzati diversi indici che riguardano non solo le disparità sul lavoro, in termini di partecipazione, possibilità di carriera e salari, che hanno contribuito in maniera preponderante al pessimo risultato, ma anche l’educazione, lo status sociale, la rappresentanza politica e le aspettative di vita.

IN UN ANNO L’ITALIA PERDE 32 POSIZIONI – In Italia il gap di genere è chiuso al 69% contro il 72% del 2016. Perdiamo una posizione (arrivando al 118° posto) in quanto a opportunità nella vita economica. Analizzando i vari fattori che lo determinano salta all’occhio la differenza tra uomini e donne in termini di retribuzioni lavorative con una percezione molto bassa della parità salariale, che fa precipitare l’Italia addirittura al 126° posto di questa specifica classifica. Siamo al 90° posto come partecipazione alla forza lavoro e al 103° in quanto a disparità nel reddito. A questo si aggiunge la beffa, ossia che le donne lavorano di più: ogni giorno circa 512 minuti, contro i 453 di un collega. Eppure, come è noto, la disoccupazione è più alta tra le donne (12,8%) che tra gli uomini (10,9%). Inoltre il 60,5% degli scoraggiati, ossia coloro che non cercano neppure un’occupazione, è rappresentato da donne.

ISTRUZIONE E SALUTE – E poi c’è il capitolo istruzione, dove il divario sembra minore rispetto ad altre voci (siamo al 60° posto contro il 27° dello scorso anno), ma in realtà ci sono segnali tutt’altro che positivi. A cominciare da campi che restano di appannaggio maschile, fino al numero di bambine (maggiore rispetto ai coetanei maschi) che non vanno a scuola. Secondo il World Economic Forum è preoccupante poi il divario di genere che si sta creando in termini di salute. Su questo fronte l’Italia retrocede dal 77° posto del 2016 al 123° del 2017. A determinare quest’altro pessimo risultato sono anche i dati sull’aspettativa di vita in salute: per le donne è calata a 73,7 anni dai 74 anni del 2016, mentre per gli uomini è salita a 71,8 anni da 71.

LA RAPPRESENTANZA POLITICA – Altra nota dolente riguarda la rappresentanza politica: il divario tra uomini e donne si è ampliato rispetto allo scorso anno. Se nel 2016 eravamo al 25° posto, oggi siano al 46°. Anche qui un risultato pessimo dovuto soprattutto alla presenza di donne al governo che lo scorso anno ci aveva portato in decima posizione nella classifica ad hoc, mentre quest’anno ci fa scendere alla 29°. Nei ministeri la presenza di donne è ferma al 27,8%, mentre in Parlamento è al 31%. D’altro canto la parità di genere nel governo Renzi è durata poco e l’attuale esecutivo guidato da Paolo Gentiloni non ha mai puntato sulla parità. Anzi, a dire il vero, non ci si è neppure avvicinato. Tradotto in termini di ridimensionamento del gap significa che nel 2016 avevamo raggiunto un significativo 45%, mentre ora siamo al 33%.

IL DECLINO GLOBALE – La situazione italiana è peggiore anche di quella di Grecia, Belize e Madagascar. In Europa solo Cipro (92esima) e Malta (93esima) fanno peggio di noi. La Francia è 11°, la Germania 12°, il Regno Unito è al 15° posto. Gli Usa perdono quattro posizioni e scendono alla 49°. Al 100esimo posto la Cina, seguita da India (108), Giappone (114), Corea (118), Turchia (131) e Arabia Saudita (138). Di fatto l’involuzione italiana fa parte di un generale declino a livello globale. Tanto che, come sottolinea il Wef, quest’anno per la prima volta da quando si elabora il rapporto il divario globale si è ampliato, una “brutta storia” in contrasto con i risultati positivi raggiunti, anche se lentamente, negli ultimi dieci anni. Nella partecipazione economica e nelle opportunità offerte, nessun Paese al mondo ha colmato completamente il gender gap. Il divario sul fronte del potere politico si sta allargando, tanto che solo l’Islanda lo ha colmato per più del 70%. Il divario di opportunità tra i sessi a livello globale si è chiuso per il 68% contro il 68,3% del 2016. E se è vero che l’Europa occidentale resta la regione al mondo con il gap più ridotto (il 25% in media), nel Medio Oriente e in Africa settentrionale il divario si allarga. A livello globale, le differenze di genere più ampie riguardano la sfera economica e quella sanitaria. Secondo il World Economic Forum “se si va avanti così occorrerà un altro secolo per chiudere il divario globale di genere”. La previsione dello scorso anno era di 83 anni.

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