Solo tre articoli in una legge di Bilancio che ne conta 120. E il primo dei tre riguarda una misura che entrerà in vigore solo dal gennaio 2019. In compenso, allarga le maglie dei controlli per commercianti e professionisti che accettano di rendere tracciabili le transazioni oltre i 500 euro. Mentre fino ad oggi il beneficio spettava solo a chi non accetta più di 30 euro cash. Che cosa resta? Nuove norme contro le frodi sull’Iva dovuta sui carburanti e una stretta sui controlli a carico di chi vanta crediti superiori a 5mila euro nei confronti della pubblica amministrazione. È tutto qui il capitolo della manovra dedicato alla lotta all’evasione, nonostante tasse e contributi non versati siano arrivati a sottrarre alle casse dello Stato più di 110 miliardi l’anno. E nonostante gli ispettori delle Entrate, impegnati a esaminare le domande di voluntary disclosure, abbiano drasticamente ridotto le altre tipologie di accertamenti. Stando alla relazione tecnica, il gettito aggiuntivo atteso nel 2018 per effetto delle misure antievasione ammonta a soli 640 milioni. In compenso, per fare cassa, il governo ha sfilato di sotto il naso ai piccoli imprenditori l’Iri, la flat tax del 24% sul reddito delle ditte individuali e delle società di persone: il regime agevolato, che doveva entrare in vigore dalle dichiarazioni dei redditi 2018, viene rinviato di un anno. Una violazione dello Statuto del contribuente che fa risparmiare 2 miliardi alle casse pubbliche.

“Con la fatturazione elettronica più gettito, trasparenza ed efficienza”. Ma può attendere – L’articolo 77 della finanziaria modifica la disciplina sulla fatturazione elettronica, panacea evocata tutte le volte che si parla di evasione fiscale. “La riteniamo una misura importante non solo per il gettito aggiuntivo che produrrebbe, ma anche per la trasparenza ed efficienza che aggiungerebbe al sistema tributario”, spiegava lo scorso agosto il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan al Sole 24 Ore. Al dunque, però, l’obbligo di fatturazione elettronica anche tra privati – per le fatture emesse nei confronti della pubblica amministrazione è in vigore dal 2015  – scatterà solo dal 2019. Quando a gestire la patata bollente sarà un nuovo governo. A cui spetterà anche l’incombenza di mandare in soffitta il famigerato spesometro gestito dalla Sogei. Fanno eccezione solo le “cessioni di benzina o carburante” e “le prestazioni rese dai subappaltatori“: per questo tipo di transazioni le fatture andranno trasmesse in forma elettronica all’Agenzia delle Entrate attraverso il Sistema di interscambio già dall’1 luglio 2018. Secondo la relazione alla manovra, dalla fatturazione elettronica dovrebbero derivare a regime maggiori entrate Iva per 2 miliardi l’anno. Ma all’inizio l’applicazione sarà così limitata che il recupero di gettito si fermerà nel 2018 a soli 202 milioni.

Pugno duro solo sulle frodi sui carburanti – Per limitare le frodi Iva sui carburanti si prevede poi il versamento dell’imposta al momento dell’estrazione dal deposito. La relazione tecnica stima che su 66 miliardi di litri di prodotti petroliferi immessi al consumo nel 2016, il 15% sia transitato sul mercato parallelo frodando l’Iva. Il gettito evaso ammonta, a spanne, a circa 1,45 miliardi. Con i nuovi obblighi il governo conta di recuperare 271 milioni per il 2018 e 381,5 a regime. A fronte, va ricordato, di un’evasione Iva che nel complesso ammonta a circa 35 miliardi di euro. Cifra che fa dell’Italia il primo Paese europeo per importi non versati. Altri 167 milioni dovrebbero arrivare dalla riduzione da 10mila a 5mila euro, dall’1 marzo 2018, della soglia al di sopra della quale le pubbliche amministrazioni e le società a prevalente partecipazione pubblica, prima di procedere a un pagamento, devono verificare se il beneficiario ha versato tutte le tasse dovute. L’introduzione della relazione, però, riduce la cifra attesa a 96 milioni nel 2018 e 110 dal 2019.

E resta il favore alle partite Iva: meno tempo per i controlli – Dulcis in fundo, nel testo bollinato della manovra resta il favore a commercianti, piccoli imprenditori e professionisti di cui ilfattoquotidiano.it ha dato conto quando è spuntato nelle bozze. Si riducono di due anni i tempi a disposizione delle Entrate per fare accertamenti su chi trasmette per via telematica i dati sulle fatture e si impegna a rendere “tracciabili” incassi e versamenti sopra i 500 euro. La soglia prevista in precedenza era di 30 euro: viene aumentata di 16 volte. Di fatto è un liberi tutti, se si pensa alla frequenza con cui un piccolo negozio può ricevere un pagamento superiore ai 500 euro. E, stando alla Relazione sull’evasione allegata alla Nota di aggiornamento al Def, la “propensione a evadere l’Irpef” di autonomi e imprese è stimata al 67,2%.

Gli accordi con le grandi imprese? Si recupera solo il 32% delle tasse dovute – Il capo successivo della legge di Bilancio, dedicato a Misure di smaltimento e deflazione del contenzioso tributario nonché di accelerazione del recupero dei crediti fiscali, oltre a sbloccare la nomina di 50 magistrati ausiliari per accelerare la definizione delle cause tributarie pendenti in Cassazione stanzia risorse (1,2 milioni per il 2018, 6,2 per il 2019 e 11,2 per il 2020 e 15 milioni l’anno dal 2021) con cui le Entrate potranno assumere nuovi funzionari. Non per i controlli, però, bensì per “garantire la piena funzionalità degli uffici impegnati nella trattazione delle procedure amichevoli internazionali, degli accordi preventivi per le imprese con attività internazionali e degli accordi relativi ai regimi opzionali di tassazione agevolata dei redditi derivanti dall’utilizzo dei beni immateriali”. Si tratta di procedure per accordarsi “amichevolmente” con i grandi gruppi per risolvere controversie sul pagamento delle imposte. Procedure che però, ammette il governo, si chiudono con una percentuale di recupero del 32,06%: vale a dire che le Entrate finiscono per riscuotere solo un terzo delle imposte dovute. A fronte di una base imponibile stimata in oltre 3 miliardi di euro – a carico di meno di 150 società – la speranza è di ritrovarsi in cassa circa 315 milioni in più.

Rinviata di un anno la flat tax per le piccole imprese. Mentre si amplia lo split payment – Per fare cassa, il governo ha optato per il rinvio di un anno dell’Iri e per una nuova rottamazione delle cartelle. Che è stata inserita nel decreto fiscale collegato alla manovra, con il risultato di cambiare in corsa le regole e salvare i contribuenti che non hanno pagato le rate previste dalla prima tornata. Questo per portare a casa un gettito stimato in meno di 500 milioni di euro. Nel decreto è entrato anche l’allargamento agli enti pubblici e a tutte le società controllate dalla pubblica amministrazione dello split payment, il meccanismo per cui la pubblica amministrazione paga direttamente all’Erario l’Iva sui propri acquisti senza far transitare la cifra sui conti dei fornitori. Di conseguenza, sostengono le imprese, la “scissione del pagamento” sottrae loro liquidità preziosa per far fronte alle uscite di cassa. E la manovrina di primavera lo aveva già imposto anche ai fornitori dei maggiori gruppi quotati a Piazza Affari.

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