Per parlarvi di Alda Merini è necessario che vi parli del significato che Alda Merini ha avuto nella mia vita. Quindi vi parlerò della mia Alda Merini e non potrebbe essere altrimenti. Io so di non essere un poeta e lo so perché conosco i poeti e li amo, ma so anche di essere uno spettatore di poeti, per me la poesia è lo spettacolo della parola che s’incarna, la parola poetica si cala negli inferi della carne, c’è sempre un fondo di religiosità animalesca nella poesia, siamo animali deliranti, e i poeti sono coloro che riescono a fare delle proprie viscere una melodia celeste.

La prima volta che sentii pronunciare il nome di Alda Merini fu sui Navigli ed ero in compagnia di un altro poeta milanese: Bruno Brancher. “La mia adorata Alda” disse Bruno, così il giorno dopo comprai Ballate non pagate per capire il senso di questa adorazione, a volte bastano due semplici parole per innescare un sentimento d’amore, lessi queste parole “dorata di morte” e m’innamorai anche io di Alda Merini.

Perché amo i poeti? Perché vicino a loro sento che il mio terrore della morte s’attenua, ho sempre vissuto la morte come qualcosa di innaturale, che cosa c’è di “naturale” in una cosa che ci toglie per sempre il respiro? Ma nello stesso tempo sento che è profondamente umano essere mortali, sento che solo la morte è in grado di dare un senso dorato ai nostri fragilissimi attimi.

Un giorno bussai alla sua porta e la poesia apparve, entrai nel suo regno, Alda Merini mi accolse nel suo piccolo appartamento spalancato sull’eternità, e capii che l’eternità non è fatta di cori angelici e soffici nuvole, l’eternità era uno scialle sulle spalle, due occhi truccati di stupore, una sigaretta fra le dita, odore di cenere e di sole, una macchina per scrivere, un pianoforte, una bicicletta appoggiata al muro, e una voce, la voce della poesia, una voce umana e un respiro mortale.

Mi sentii subito a casa, la poesia ti fa sentire sempre a casa. Accesi la mia videocamera e feci un film, un ritratto, raccolsi le sue parole in religioso silenzio, Alda mi disse che la poesia è animalesca, a volte è un topo, un ratto che scappa, che non si lascia prendere, altre volte è un coniglio, il Bianconiglio di Alice nel paese delle meraviglie. Dopo un numero imprecisato di sigarette anche la scienza fece la sua apparizione, entrò il medico di Alda con le lastre della sua schiena, filmai anche lo scheletro della poetessa e lei chiese al suo medico: “Ho più vertebre del solito?”. Stava guardando la sua lastra al contrario, la poesia aveva capovolto la scienza, mentre Alda leggeva il freddo linguaggio del referto diagnostico, con tutti quei termini spietati e precisi, capivo il senso della poesia: liberarci dalla fredda spietatezza della scienza attraverso un’altra forma di ferocia che è l’amore. E questa liberazione avveniva anche attraverso l’umorismo. L’umorismo capovolge il mondo, l’umorismo è la cortesia della disperazione, ed Alda era anche questo: una creatura essenzialmente umoristica e cortese, con lampi di estasi carnale.

Tornai a casa e montai questo film che ora vaga come una cometa dorata nello spazio della rete su YouTube.

Ora concedetemi una digressione personale, grazie a questo mio piccolo film ho conosciuto Francesca Aurelio, una lettrice appassionata di Alda, una poetessa e professoressa di latino e greco, una calabrese mistica e terrena, ed è nata una bellissima amicizia. La poesia compie anche questi miracoli: fa sbocciare l’amicizia. Ieri ho chiesto a Francesca di raccontarmi la sua Alda Merini e mi ha scritto queste parole: “Alda è lievito madre di ogni giovinezza di donna. E’ voce che viene dall’utero della terra e dall’abisso dei cieli. Alda Merini è mistero plurale e totale. E’ un continuo fiorire di imperiture stagioni. E’ ricerca”. Poi ho chiesto a Francesca di rivelarmi il suo primo incontro con la poesia di Alda, mi ha risposto così: “I primi versi che ho letto sono questi – Ero malata di tormento, ero malata di tua perdizioneMi ha scavato dentro. E poi – Io ero solo una creatura libera, io che vivevo tra verze e ortiche – Le verze e l’ortiche sono il sogno di un’allegria che è la vita che vorrei. Da sempre”.

Questa è Alda Merini per Francesca, è il sogno di un’allegria, un’allegria cortese, disperata, caotica, umoristica e sensualissima. In fondo non è così importante cercare un senso a questa vita, non è il senso ma la sensualità che ci può salvare, una sensualità mistica, religiosa e terrena, la poesia è la vertigine di questa sensualità. Alda era sensuale, questa è la verità, per questo in occasione di questo “allegro” anniversario vi lascio con questi suoi versi.

Il suo sperma bevuto dalle mie labbra
era la comunione con la terra.
Bevevo con la mia magnifica
esultanza
guardando i suoi occhi neri
che fuggivano come gazzelle.
E mai coltre fu più calda e lontana
e mai fu più feroce
il piacere dentro la carne.
Ci spezzavamo in due
come il timone di una nave
che si era aperta per un lungo viaggio.
Avevamo con noi i viveri
per molti anni ancora
i baci e le speranze
e non credevamo più in Dio
perché eravamo felici.

(da Clinica dell’abbandono)

Un’ultima cosa: vicino ai poeti ci sentiamo liberi.

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