C’è chi in Lombardia vota su un tablet per invocare l’autonomia, chi in Veneto sfrutta il quesito di un referendum per chiedere lo statuto speciale e chi, lo stesso giorno ma molto più a sud, vota “Sì” per fondersi con un’altra città. In Calabria i cittadini di due comuni sono stati chiamati alle urne per rispondere a un quesito opposto: “Volete l’istituzione di un nuovo comune, denominato Corigliano-Rossano, mediante fusione degli attuali comuni di Corigliano Calabro e Rossano?“. Risposta, sì. Un plebiscito a Rossano (93%,col 44% di affluenza), una vittoria convincente a Corigliano (61%, ma solo il 38% degli aventi diritto ha votato).  Dopo Reggio Calabria e Catanzaro, dal 22 ottobre il terzo centro più grande della regione è Corigliano-Rossano, nato dall’unione dei due comuni di Corigliano Calabro e Rossano dopo un referendum. Il nuovo centro butta giù dal podio Lamezia Terme e supera anche Cosenza, dando vita a un’anomalia decisamente curiosa: il nuovo comune sarà più grande rispetto al proprio capoluogo.

Corigliano-Rossano nascerà ufficialmente il primo gennaio del 2018 e sarà guidato da un commissario straordinario nominato dalla Procura che affiancherà i due sindaci per gestire il delicato passaggio di fusione al termine del quale saranno indette le nuove elezioni. Trattative che si preannunciano interessanti. I sindaci delle due città hanno posizioni differenti: Giuseppe Geraci, sindaco di Corigliano ed ex deputato di Alleanza nazionale, è contrario. Stefano Mascaro, sindaco di Rossano, favorevole. “Si poteva arrivare alla consultazione in maniera differente – ha dichiarato Geraci dopo il voto – Accetto l’esito del referendum, ma sarebbe stato meglio rinviare la data della consultazione e preparare assieme uno studio di fattibilità. I cittadini di entrambe i comuni non sanno nulla su come si svilupperà questa fusione”. Cosa è certo, invece, sono i soldi che pioveranno sul nuovo comune: la legge di bilancio per il 2018 aumenta dal 50 al 60% dei trasferimenti erariali complessivi (fino a un tetto di 3 milioni di euro) il bonus che spetta ai piccoli Comuni che si fondono. Soldi che potrebbero fare gola anche alle cosche locali. Nel 2010, il consiglio comunale di Corigliano Calabro è stato sciolto per infiltrazioni mafiose. Pasqualina Straface, sindaco all’epoca dello scioglimento, è stata rinviata a giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa. Nonostante le nuove elezioni e l’insediamento di una nuova giunta, il prefetto di Cosenza Gianfranco Tomao ha nominato una commissione di accesso agli atti per valutare se siano presenti infiltrazioni di stampo mafioso nell’amministrazione comunale. La decisione finale spetterà al ministro dell’Interno Marco Minniti che dovrà esprimersi entro il prossimo 22 dicembre dopo aver consultato la relazione finale del prefetto.

Come funziona la fusione  La fusione tra due o più comuni è prevista dall’articolo 133 della Costituzione e regolamentata dal decreto legislativo del 18 agosto del 2000, n.267. L’iter è piuttosto complicato: l’iniziativa parte dai cittadini e arriva al consiglio comunale e discussa. Poi passa alla regione, che redige la proposta di legge e la ripassa alla giunta cittadina che può indire il referendum. Il raggiungimento del quorum non è necessario: ogni regione, infatti, stabilisce con proprie regole se le consultazioni debbano o meno raggiungere una determinata soglia. Se l’esito del voto è positivo, comincia l’iter per completare la nascita del nuovo comune. La prefettura nomina un commissario straordinario che, assieme ai sindaci dei vari comuni oggetti del referendum, gestirà il passaggio dal punto di vista organizzativo fino alle nuove elezioni. Dalla nascita della legge a oggi, 206 Comuni si sono uniti per dare vita a 81 nuovi centri. Al terzo posto si piazza la Toscana (11), seconda la Lombardia (18) mentre la regione con più fusioni è il Trentino Alto Adige (23), con il comune di Castel Ivano che ha subito due fusioni nel giro di sei mesi.

Chi vuole andarsene – Ma la Costituzione prevede anche ai comuni di abbandonare la propria regione e passare a un’altra. L’articolo è il 132, anche se nella storia della Repubblica italiana questa eventualità si è verificata solo una volta. Nel 2009, il parlamento ha ratificato il passaggio di 7 comuni marchigiani all’Emilia Romagna: Casteldelci, Maiolo, Novafeltria, Pennabilli, San Leo, Sant’Agata Feltria e Talamello. Anche in questo caso, la volontà era stata espressa con un referendum, approvato poi dalle due regioni come prevede la legge. Nel passaggio, le Marche hanno perso 328 chilometri quadrati di territorio a favore dell’Emilia e potrebbero perderne altri se Sassofeltrio e Montecopiolo, piccoli comuni del nord delle Marche, riusciranno a completare l’iter necessario per passare in Emilia. I due comuni hanno votato la secessione nel 2007, ma il Parlamento non ha mai completato la pratica, anche perché la regione Marche ha evitato di esprimersi bloccando di fatto il procedimento. La discussione ha diviso anche il Partito democratico: i parlamentari marchigiani contrari al passaggio (Alessia Morani, vicepresidente Pd alla camera su tutti) e quelli emiliani favorevoli.

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