Richard H. Thaler, un cittadino ebreo americano, ha vinto il premio Nobel per l’Economia, incorporando le ipotesi psicologiche realistiche nelle analisi dell’assunzione di decisioni economiche. Esplorando le conseguenze della razionalità limitata, delle preferenze sociali e della mancanza di autocontrollo, ha dimostrato come questi tratti umani coinvolgano sistematicamente le decisioni individuali e gli esiti di mercato. Thaler ha posto in essere la teoria della valutazione mentale, spiegando come la gente semplifichi l’assunzione di decisioni creando spazi separati nelle loro menti, incentrandosi sul singolo impatto di ciascuna decisione piuttosto che sul suo effetto globale, esaminando la finanza comportamentale.

Nei riguardi del problema della mancanza di autocontrollo, Thaler ha proposto il nudging, ossia, le piccole spinte (o spintarelle) che possono indirizzare le scelte, come, per esempio, risparmiare per la pensione, badando non solo al giorno dopo ma anche ai tempi lunghi. Così, Thaler avrebbe costruito un ponte fra le analisi decisionali economiche e quelle psicologiche. Queste erano, in sintesi, le motivazione dell’Accademia nell’attribuirgli il premio Nobel.

Il merito principale di Thaler dovrebbe essere quella di innovare nella visione tradizionale dell’economia, mettendo in luce il peso dell’irrazionalità nelle scelte economiche. Forse sarebbe giunto il momento per trasferire questi ragionamenti e questo pragmatismo nel campo della politica, dove le bolle economiche e le balle ideologiche possono finire per danneggiare coloro i quali vi aderiscono. I regimi totalitari sono i maggiori creatori e fomentatori di irrazionalità, ma anche le democrazie, come quella italiana, non si fanno mancare nulla quando si tratta di persuadere il popolo a compiere scelte ferali e autolesionistiche. Contro il conflitto d’interessi fra popolo e classe dirigente, qualche lettura dello smaliziato e simpatico Thaler (ha detto che spenderà in modo irrazionale i soldi del premio) non farebbe altro che del bene.

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