La notizia secondo cui il ventiseienne Kevin Spacey avrebbe molestato un quattordicenne Anthony Rapp ha riaperto la ferita delle memorie di incontri con adulti abusivi e/o manipolatori. Il mondo delle chat, in cui ho mosso i miei primi passi, è molto insidioso. I giovani Lgbt+ che non possono parlare apertamente della propria sessualità sono facili prede di adulti manipolatori. Più in generale, la difficoltà che gli adolescenti hanno nel parlare di sesso con genitori ed educatori fa sì che questi non chiedano aiuto quando ne hanno bisogno. Dobbiamo cambiare approccio.

Nella speranza di aprire un dialogo sulla questione, ho deciso di riportare alcuni episodi che mostrano tecniche con cui l’adulto di turno cercava di portarmi a letto (in tutti i casi senza successo).

1. Proporre un incontro, portare in un luogo isolato e insistere.

Io avevo quindici anni, lui (dice) trenta. Propone un incontro in stazione centrale. Benissimo. E’ appena uscito dal lavoro e ha bisogno di cambiarsi, per cui mi chiede di accompagnarlo in hotel mentre si cambia. Va bene. Saliamo. Accendo la TV e seguo le notizie sui mondiali di calcio mentre lui si spoglia. Fisso lo schermo per non dare segnali. Lui spazientito mi chiede “Vuoi venire in doccia con me?” “No grazie”, dico io, con tono garbato, ma indeciso se scappare col rischio di essere inseguito da lui o se restare calmo sperando che il primo rifiuto sia sufficiente. Insiste da sotto la doccia e ripeto di no. Potrei scappare, ma ho paura. Lui torna, si mette nudo sul letto e rimane lì a gambe aperte. Propone di nuovo. Dico: “Andiamo via”, e lui inizia ad armeggiare col cellulare. Starà chiamando qualche amico per venire a farmi del male, penso. “Non mi è mai successa una cosa del genere”, dice lui molto arrabbiato. Finalmente usciamo. Torno a casa, salvo.

2. Offrire sostanze psicotrope

Io avevo sedici anni, lui più di trenta. Mi offre le cannette nel giardino di casa sua. Io, che reggo l’erba molto bene, accetto di buon grado, sapendo che poi non ci cascherò. Infatti non ci casco. Mi chiedo però se abbia incontrato altri e l’uso di sostanze l’abbia aiutato nel portarseli a letto.

3. La manipolazione psicologica

Io avevo ancora sedici anni, loro fra i trenta e i quaranta. Sono miei amici, si confidano con me e io con loro. Mi fanno da mentori. Mi fanno anche sapere quanto sono depressi e quanto hanno bisogno di me. Mi vogliono bene e io ne voglio a loro. Eppure entrambi, ognuno separatamente, ci provano con insistenza. In ogni occasione. Mi palpano ogni tanto, mi chiedono di fare sesso. Io dico di no, ma ogni rifiuto mi mette di fronte a un dilemma: ferire delle persone che mi vogliono bene o rinunciare a quella che è la mia volontà. Non volevo perderne l’amicizia. Chiaramente sono dinamiche malsane che io, adolescente, ancora non avevo imparato a riconoscere. Ci sarei arrivato crescendo, eppure come potevo capirlo allora, a sedici anni, quando nessuno sapeva di quelle mie conoscenza?

Come hanno potuto tanti uomini provarci in quel modo senza aver nessuna paura di essere scoperti nel loro gioco? La risposta è semplice: il silenzio.

Il silenzio sulla mia omosessualità, perché raccontare gli abusi avrebbe significato dichiararmi in famiglia, essere sicuramente sottoposto a inutili sedute di psicoterapia e, forse, essere buttato fuori di casa. Parlarne con amici o compagni di scuola? Una ricetta per essere bullizzato. Ne avevo avuto un assaggio quando sospettarono per un certo periodo (“Non parlate con lui: è gay”), ma riuscii a sviare i sospetti.

Silenzio anche perché, se avessi parlato di questi incontri, sarei stato soggetto a controlli restrittivi da parte della mia famiglia, perdendo così la possibilità di fare sesso con chi volevo. Eppure a me il sesso piaceva: era bello avere i fidanzatini, molti dei quali coetanei. Era stato bello dormire per la prima volta con un ragazzo, a sedici anni. Quel sonno frammisto a baci e carezze, poco lontano dalla stanza dei miei genitori: come avrei potuto rischiare di perdere questi attimi di gioia?

Perché un adolescente parli di sé, deve sapere di avere attorno un ambiente amichevole, che lo sostenga e non lo privi della sessualità che sente come un bisogno. Noi adulti dobbiamo fare due cose, subito, e a partire dai primi anni di età: parlare e accettare. Parlare di amore, di diversità, di rispetto, ma anche accettare che i giovani vogliano e possano avere una vita sessuale. Dobbiamo farlo anche se ci imbarazza discuterne e dobbiamo veicolare la loro voglia verso un sano sviluppo anziché cercare invano di vessarla. Tacere significa lasciare che i giovani ricorrano al fai-da-te pericoloso delle chat e dei luoghi di cruising. Per questo bisogna che le scuole parlino di sesso e di accettazione. Chi abusa dei minori si nutre di ciò che i cosiddetti no-gender vogliono imporre alle nostre scuole: il silenzio. Non rendiamoci complici.

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