Il denaro che doveva andare ai bimbi autistici utilizzato per comprare un attico nel centro di Roma. Sono le nuove accuse rivolte dalla procura di Trapani a monsignor Francesco Micciché, ex vescovo della diocesi siciliana, rimosso dal suo incarico da Papa Benedetto XVI nel 2012, indagato per appropriazione indebita e malversazione di fondi pubblici. Solo uno dei tanti passaggi di un caso scoppiato nella città delle Saline due anni prima e culminato con l’invio di Domenico Mogavero, vescovo della vicina Mazara del Vallo, inviato dalla santa sede come “visitatore apostolico”, e cioè un vero e proprio ispettore, chiamato a fare luce sulla gestione Miccichè.

Un’inchiesta di un giornale locale – L’Isola – aveva infatti sollevato alcuni interrogativi sulla fusione per incorporazione di due ricche fondazioni della curia di Trapani, la Auxilium e la Antonio Campanile, decisa nel 2007 proprio dal vescovo Micciché. Da quell’operazione infatti si sarebbe creato un “buco” di oltre un milione di euro. Quasi la stessa cifra utilizzata dal vescovo l’anno dopo per acquistare un attico al numero 50 di via San Nicola di Tolentino alle spalle di piazza Barberini: secondo l’edizione locale di Repubblica, che ha riportato la notizia delle nuove accuse all’ex vescovo, quella casa fu pagata 760.000 euro, con una dichirazione di utilizzo ai fini di culto che consente di non pagare l’imposta di registro, ed era stata intestata alla Curia di Trapani.

A confermarlo ai pm è stato monsignor Alessandro Plotti, inviato dal Vaticano a Trapani dopo la defenestrazione di Micciché.  “Io ho rilevato l’anomalia dell’acquisto di una casa privata intestata alla diocesi con soldi che avrebbero dovuto essere destinati alla cura dei bambini e alle finalità della Fondazione Campanile. Non è accettabile che siano stati buttati via 500.000 euro per l’acquisto di una casa privata a Roma in pieno centro storico sottraendo quella somma alla possibilità di destinarli alla cura di bambini con problemi psichici”, ha raccontato il prelato. Erano infatti 500mila i soldi utilizzati per pagare la casa, provenienti da cinque assegni girati dal conto della fondazione Auxilium, importante ente socio assistenziale trapanese che all’epoca aveva appena incorporato la ricca fondazione Campanile, creata 40 anni prima per seguire le cure dei bambini con gravi patologie. Al vertice dell’Auxilium, Miccichè aveva piazzato Teodoro Canepa, il marito di suo sorella: l’ipotesi dei pm è che in questo modo poteva gestire a proprio piacimento il denaro gestito dall’ente.

In totale secondo l’accusa Micciché avrebbe “denato” tre milioni di euro alla Diocesi, dai fondi dell’8 per mille a quelli della Fondazione Campanile. Accanto ai cinque assegni della fondazione, Micciché aveva acquistato la casa a Roma con trecentomila euro in contati. Quando Monsignor Plotti chiede la provenienza di quella somma, lui avrebbe risposto con una battuta. “Li ho trovati nel cassetto”. Alle accuse di Plotti, Micciché aveva risposto con una durissima lettera inviata all’ex procuratore capo di Trapani, Marcello Viola: “Ho scoperto la pericolosità di una mafia ecclesiastica non meno potente, insidiosa e nefasta della mafia che il sistema giudiziario in Italia è impegnato a contrastare”

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