Decidere di avere una gravidanza, essere informati sui metodi anticoncezionali, avere accesso agli esami prenatali. Sono alcuni dei diritti riproduttivi e che riguardano la salute delle donne che nel mondo non sono ancora riconosciuti a tutte. Nel 2017 essere donne in alcuni Paesi significa non poter pianificare una famiglia, sposarsi molto giovani, dover badare alla casa e ai figli, non disporre delle risorse economiche o avere un lavoro sottopagato. La disuguaglianza di genere, che nel 2016 è aumentata in 68 Paesi, e la disparità nell’accesso alla salute e ai diritti sessuali e riproduttivi sono gli aspetti su cui si focalizza il Rapporto sullo stato della popolazione nel mondo presentato in contemporanea mondiale da Aidos Associazione italiana donne per lo sviluppo e Unfpa – Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione. Una presa di coscienza di come ancora oggi sia molto il lavoro da fare per appianare le disparità che pongono la donna in un ruolo di inferiorità rispetto all’uomo non solo negli stati più arretrati, ma anche in quelli sviluppati, con conseguenze sull’economia e la società globale.

Di qui la proposta di dieci azioni per abbattere le disuguaglianze, tra cui l’eliminazione delle barriere che impediscono alle giovani di accedere ai servizi sulla salute sessuale e riproduttiva, l’assistenza e l’informazione durante la gravidanza alle donne più povere e il sostegno alle famiglie più povere nella pianificazione famigliare. Inoltre, altri obiettivi sono quelli di fornire una copertura dei servizi essenziali come la maternità, eliminare gli ostacoli economici, sociali e geografici all’accesso delle ragazze all’istruzione secondaria e superiore, oltre ad accelerare il passaggio delle donne da lavori informale o non contrattualizzato a un lavoro formale e dignitoso, aprendo loro l’accesso al credito e alla proprietà.

Video di Angela Gennaro

Gravidanza consapevole e contraccezione: i diritti ancora negati 
Come si legge nel rapporto, avere informazioni, potere e mezzi per decidere se, quando e quante volte avere un bambino è un diritto umano universale. Lo hanno deciso 179 stati alla Conferenza internazionale sulla popolazione e lo sviluppo nel 1994. La realtà però è che oggi centinaia di milioni di donne incontrano ancora difficoltà a ottenere informazioni, servizi e strumenti per prevenire una gravidanza o partorire in modo sicuro. I diritti riproduttivi per le donne cambiano a seconda che vivano in zone rurali o urbane, che siano ricche o povere, e del grado di istruzione che hanno ricevuto. Le ineguaglianze nella salute sessuale e riproduttiva sono correlate anche alla disuguaglianza economica.

Una misura dell’accesso ai servizi per la salute sessuale e riproduttiva è il modo cui una donna può accedere a un metodo moderno di contraccezione. La possibilità di pianificare una famiglia è un elemento fondamentale non solo per la salute riproduttiva, ma anche per l’uguaglianza sociale ed economica: una gravidanza non intenzionale infatti vincola le opportunità di una donna nella vita sociale, nell’educazione e nel lavoro. L’utilizzo dei moderni metodi di contraccezione in donne tra i 15 e i 49 anni varia da Paese a Paese. Nei Paesi in via di sviluppo l’utilizzo della contraccezione è più bassa tra le donne più povere, che abitano in periferia o che sono meno istruite. Ma ci sono eccezioni. In Bangladesh, Bhutan, Cambogia e Tailandia, per esempio, i tassi di utilizzo dei contraccettivi sono più alti tra i più poveri che tra i più ricchi, anche grazie a campagne di sensibilizzazione. Le più grandi disuguaglianze basate sulla ricchezza per quanto riguarda la richiesta di pianificazione famigliare e l’uso di contraccettivi sono in Africa, mentre sono meno evidenti in Asia, in Europa dell’est e in Asia Centrale, in America Latina e Caraibi.

Accesso alle cure prenatali e assistenza al parto
Le donne più povere hanno meno accesso alle visite prenatali, che servono per garantire la salute della madre e del feto e vanno dalla promozione della salute allo screening e la diagnosi dei rischi, che possono aiutare a prevenire o gestire le malattie legate alla gravidanza.  Fino al novembre 2016 quattro visite prima del parto erano considerate il minimo numero necessario per una gravidanza sana, ma anche se l’accesso alle cure prenatali sta crescendo in tutto il mondo, nei Paesi in via di sviluppo come nell’Africa subsahariana e nel sud dell’Asia, le donne fanno meno di quattro visite. La situazione è ancora peggiore nelle aree rurali, dove i costi e le distanze per le cure rappresentano un altro ostacolo. In Afghanistan, Etiopia e Yemen, per esempio, hanno più possibilità di fare visite prenatali le donne che abitano nelle aree urbane. La disparità in base al luogo di residenza è minore in America Latina e nei Caraibi, mentre nella Repubblica Dominicana, in Guatemala, Guyana, Honduras e Perù le proporzioni tra le donne che hanno quattro o più visite di assistenza prenatale sono simili nelle aree urbane e rurali.

Le donne più povere sono anche quelle che hanno più probabilità di partorire da sole, senza assistenza specializzata come la presenza di ostetriche, che l’Organizzazione mondiale della sanità raccomanda per tutte le nascite per ridurre il rischio di mortalità materna e neonatale. La più grande disuguaglianza basata sulla ricchezza per quanto riguarda le nascite seguite da personale qualificato si riscontra in Africa. In Afghanistan, Bangladesh, Camerun, Guinea e Nigeria, la presenza di specialisti per la nascita è estremamente bassa tra le donne più povere, mentre la differenza tra donne ricche e povere è minima nella maggior parte dei paesi dell’Europa orientale e dell’Asia centrale, gli Stati arabi, l’America latina e i Caraibi.

Gravidanze non programmate e età delle madri
Ogni anno in tutto il mondo ci sono 89 milioni di gravidanze non programmate, pari al 43 per cento del totale, mentre gli aborti sono 48 milioni, gli aborti spontanei 10 milioni e i bimbi nati morti 1 milione. Mentre la mortalità materna si sta riducendo in tutto il mondo, nei Paesi meno sviluppati i numeri salgono vertiginosamente a 436 morti ogni 100mila nascite, contro le 12 degli stati più avanzati. Inoltre più del 96 per cento dei neonati sotto peso viene alla luce in questi paesi. Un altro dato allarmante è l’età delle madri, che nei Paesi meno sviluppati sono nel 95 per cento adolescenti, provenienti soprattutto da aree rurali e con un basso livello di istruzione. Le nascite tra le adolescenti ammontano a 7,3 milioni, di cui 1,1 milioni riguardano ragazze sotto i 15 anni, con conseguenze negative sulla loro educazione, l’accesso al lavoro e la capacità di guadagno futura.
In molti Paesi la disuguaglianza di genere pone le donne in una posizione di svantaggio, soprattutto quelle che vivono in zone rurali. In queste aree le donne si sposano in età molto giovane e di conseguenza abbandonano gli studi, avendo quindi minori possibilità economiche e un minore accesso ai servizi sanitari.

Le conseguenze della disuguaglianza di genere sul lavoro
Le disuguaglianze nel lavoro e nelle retribuzioni rispecchiano e sono rafforzate dalle disuguaglianze nei diritti alla salute sessuale e riproduttivi. Per una donna l’accesso ai diritti riproduttivi può infatti influenzare le sue opportunità lavorative e di istruzione. Una donna senza controllo sulla sua fertilità potrebbe non riuscire a mantenere un posto di lavoro per il costo della cura dei figli, oppure non ottenere una promozione perché il suo datore di lavoro immagina che lascerà l’impiego a causa di una gravidanza. Le donne più povere che non sono in grado di esercitare i propri diritti sulla riproduzione hanno più probabilità di essere disoccupate o guadagnare meno degli uomini.

Negli ultimi vent’anni la partecipazione alla forza lavoro da parte delle donne tra i 25 e i 40 anni è aumentata. Dove i tassi di partecipazione sono più alti, la fertilità è diminuita e questo è dovuto in parte alla difficoltà a trovare un equilibrio tra le aspirazioni di carriera e la cura dei figli. Ovunque per le donne la gravidanza può significare l’esclusione dal mondo del lavoro. E le difficoltà sono maggiori per chi non ha la possibilità di programmare e controllare una gravidanza, come nei Paesi più poveri. La disuguaglianza di genere ha un’influenza in questi Paesi, dove milioni di donne non hanno accesso ai metodi di contraccezione a causa di restrizioni nella legge, dello stigma sociale o di ostacoli dovuti all’essere donna. Nei Paesi in via di sviluppo, 12,8 milioni di ragazze adolescenti non riescono a pianificare la costruzione di una famiglia. In molte parti del mondo in via di sviluppo, le ragazze sono spesso costrette al matrimonio con una persona più anziana, e questo comporta l’avere meno potere sull’utilizzo di metodi contraccettivi, ma anche sull’accesso alle risorse finanziarie e alla proprietà.

Dove i tassi di natalità tra le adolescenti sono alti, la disuguaglianza di genere nelle retribuzioni è peggiore. Circa il 50 per cento delle donne rispetto al 76 per cento di uomini fa parte della forza lavoro, mentre le donne a livello globale hanno un tasso di disoccupazione del 6,2 per cento contro il 5,5 per cento degli uomini. Il gap più grande si ha nell’Africa settentrionale e negli Stati arabi, dove il tasso di disoccupazione giovanile femminile è del 44 per cento, quasi il doppio di quella maschile.

La discriminazione sul lavoro
Le leggi possono riflettere o rafforzare le discriminazioni che impediscono alle donne pari accesso alla forza lavoro. In una ricerca su 143 Paesi del mondo, 128 avevano almeno uno ostacolo giuridico alla partecipazione delle donne a certe opportunità economiche. In 18 Paesi inoltre, gli uomini possono legalmente impedire alle mogli da lavorare fuori casa. Ma anche una volta entrate nel mondo del lavoro, le donne devono affrontare disparità di trattamento rispetto agli uomini. Spesso guadagnando meno degli uomini per lo stesso tipo di lavoro o sono impiegate più spesso in manodopera poco qualificata e a basso prezzo.

In tutto il mondo il divario salariale di genere è di circa il 23 per cento. Le donne guadagnano il 77 per cento degli uomini. In Italia per esempio, il livello di discriminazione per genere è uno dei più alti insieme allo Yemen, al Sudan e al Bangladesh, mentre la percentuale di donne manager è sotto il 30 per cento, molto indietro rispetto a Paesi come la Jamaica (al primo posto con una percentuale di 59,3 per cento) o la Colombia, che supera il 53 per cento.

La disuguaglianza sul lavoro è spesso frutto di una disparità di genere nel livello di istruzione. Dei 758 milioni di analfabeti adulti di tutto il mondo, circa 479 milioni sono donne e circa 279 milioni sono uomini. Le persone analfabete guadagnano fino al 42 per cento meno rispetto a quelle istruite, e visto che la maggior parte di esse sono donne, questo si ripercuote anche nella disuguaglianza sul lavoro.

La maternità come ostacolo al lavoro
In ogni parte del mondo, le madri lavoratrici guadagnano meno delle donne che non hanno figli. I datori di lavoro possono giustificare il fatto di pagare meno le madri perché hanno la percezione che si impegnino meno al lavoro in quanto devono badare alla casa e ai figli, oppure non considerano le donne per promozioni o incarichi più impegnativi perché temono il rischio di una gravidanza e di un congedo. Anche la mancanza di un congedo di maternità o del posto di lavoro assicurato durante l’assenza richiede a molte donne di scegliere tra lavoro e famiglia. Oggi la maggior parte dei Paesi prevede il congedo di maternità. Su 185 paesi, 98 consentono almeno 14 settimane di assenza, 60 offrono 12 o 13 settimane, e 27 offrono meno tempo. A livello globale circa il 60 per cento delle donne che lavorano non beneficia del congedo di maternità, e anche meno ha accesso al pagamento durante il congedo di maternità. Si tratta soprattutto di lavoratrici autonome, che lavorano all’interno di un’attività di famiglia o in impieghi part-time o non contrattualizzati, compresi lavori domestici o agricoli.

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