Da anni l’area ex Westinghouse è un grattacapo per le amministrazioni di Torino. Vicino alla stazione Porta Susa e al Palazzo di giustizia, quest’area, su cui sorgeva un’azienda di freni e componenti per i treni, doveva essere riqualificata dai primi anni Duemila, ma è ancora in stato di abbandono. Il primo progetto, quello di costruire la sede centrale delle biblioteche civiche, è naufragato per mancanza di soldi. Il piano successivo, un enorme centro congressi, con annessi parcheggi e supermercati, è stato a lungo fermo per un ricorso al Tar. Ed è in questo ambito che nasce la vicenda Ream, per cui la sindaca Chiara Appendino, il capo di gabinetto Paolo Giordana e l’assessore al Bilancio Sergio Rolando sono indagati.

Al momento della gara per assegnare la progettazione e la realizzazione del nuovo complesso i concorrenti avevano dovuto lasciare una caparra. Tra questi c’era anche la Real Estate Asset Management (Ream), società di gestione di risparmio i cui azionisti sono le principali fondazioni bancarie piemontesi, che aveva versato cinque milioni di euro al Comune di Torino per il contratto preliminare. Tuttavia nel 2013 la gara viene aggiudicata dalla Amteco & Maiora srl, che firma il contratto preliminare con il Comune. A quel punto l’amministrazione (giunta Fassino) avrebbe dovuto rendere i cinque milioni di euro con gli interessi alla Ream, ma non lo ha mai fatto. La somma, però, viene registrata regolarmente nel bilancio sotto la voce “debiti” e nel 2014 la società chiede alla Città la restituzione. Per due volte, nel 2014 e nel 2015, il direttore della Direzione Territorio e Ambiente comunica alla società che i soldi verranno restituiti non appena terminate le procedure per l’aggiudicazione della concessione, ferme per il ricorso del concorrente escluso, la Nova Coop.

Nel 2016, diventata sindaco, Appendino e la sua giunta si trovano a dover affrontare la questione e a far quadrare un bilancio con grosse difficoltà. Innanzitutto deve ammettere che non può fermare il progetto (come promesso in campagna elettorale e come richiesto da alcuni comitati cittadini), pena la perdita di quasi 20 milioni di euro, preziosissimi per le casse civiche. E preziosi sono anche quei 5 milioni di euro, motivo per cui l’amministrazione vuole posticipare la restituzione. Ed è qui che sorgono i problemi. Il 22 novembre il suo capo di gabinetto, Giordana, scrive una mail alla direttrice della direzione finanze Anna Tornoni di non iscrivere nel bilancio i cinque milioni di euro: “Per quanto riguarda il debito Ream lo escluderei al momento dal ragionamento, in quanto con questo soggetto sono aperti tavoli di confronto”. Pochi giorni dopo la sindaca le manda una lettera: “Stante le trattative aperte con la Città, non è prevista la restituzione”. Tuttavia il 6 dicembre il presidente della Ream Giovanni Quaglia, eletto poi presidente della Fondazione Crt, una delle azioniste di Unicredit, torna a chiedere quel denaro, un elemento che per la procura dimostra l’assenza di trattative in corso. Per la procura, inoltre, il perfezionamento dell’aggiudicazione era avvenuto nell’autunno 2016 (il ricorso al Tar è però terminato soltanto pochi giorni fa). Il procuratore aggiunto Marco Gianoglio ipotizza quindi che a quel punto la Città avrebbe dovuto rendere quei soldi, ma non lo ha fatto perché Appendino, Rolando e Giordana hanno sostenuto falsamente – secondo l’ipotesi del pm – di avere quelle trattative in corso.

Che qualcosa non andasse, però, lo avevano notato due consiglieri di minoranza: il notaio Alberto Morano, espressione delle liste di destra, e il capogruppo Pd Stefano Lo Russo, ex assessore all’urbanistica della giunta Fassino che aveva seguito la pratica “Westinghouse”. Sono loro ad acquisire gli atti e poi, ad aprile, a fare l’esposto alla procura della Repubblica a cui si è aggiunto quello dei revisori dei conti, da cui è nata l’inchiesta giunta ora a una svolta.

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