TORINO – L’esistenza sta tutta nella continua tensione tra avvicinamento e allontanamento dall’oggetto desiderato, tra attrazione e repulsione, ricerca e fuga. In questa distanza che si assottiglia e si amplifica, in questo elastico scorrono, per tratti vicini per altri versi discordi, i due spettacoli presentati all’interno della parte autunnale del festival “Teatro a Corte” che da dieci anni si svolge nelle ville sabaude dell’hinterland torinese. Avremmo dovuto declinare il verbo al passato perché questa edizione, sempre dirette con garbo e padronanza da Beppe Navello (ha lasciato la carica del Teatro Piemonte Europa a Valter Malosti), è stata l’ultima.

E si chiude con altissima qualità, senza rimpianti, senza lamentele o piagnistei. Dicevamo di quella corda che lega l’uomo alla conoscenza, in quel duello con la Natura prima, con Dio poi e oggi con la tecnologia e la meccanica. Davide e Golia, Prometeo e Zeus. L’uomo e le sue paure è il discorso che si è svelato attraverso il rapporto carnale e materico tra l’uomo e l’animale, un bellissimo cavallo, in Ma bete noir, un rapporto ferroso, di causa ed effetto, di latta, assalti e contrattacchi, è quello che ha animato Trasports exceptionnels, nel pericoloso “amplesso” di danze tra l’uomo e la macchina, in questo caso una ruspa.

Sia la bestia che il cingolato (entrambi gli affascinanti lavori sono francesi) potrebbero in qualsiasi momento schiacciare l’uomo come una mosca che volteggia davanti a loro, ma nel primo “Ma bete noire” (qui per vedere il teaser emozionante) di Thomas Chassebourg lo stallone nero rappresentava la condizione umana, mentre il danzatore-domatore con la frusta raffigurava quel Dio che ci fa muovere, correre, galoppare ma sempre all’interno di un recinto. La maestosità dell’animale, la sua fierezza, la sua folta e lunga criniera “nera come il caffè”, la sua forza, i suoi guizzanti muscoli, i tendini impetuosi volteggiano furiosi nella sabbia, attorno ad un divano-scrigno-rifugio-bunker-cripta dentro il quale, aprendolo sul finale, sparirà il domatore-Dio, lasciandolo lì immobile nel suo stallo, senza punti di riferimento. Il cavallo, caratterizzato da una grazia innata estrema, da un’eleganza sottile impressa dentro zoccoli tanto potenti, da una raffinatezza che fende l’aria, ci rappresenta con la nostra ricerca perenne di una via di fuga, che non c’è, mentre un ammaestratore con lo scudiscio ci fa fare evoluzioni a suo piacimento. Nell’arena della vita “siamo come tori a Pamplona”. E mai il torero.

Nel secondo Transports exceptionnels, a cura della compagnia Beau Geste, in prima linea c’è Dominique Boivin (il teaser palpitante). Ci ha ricordato il minuscolo uomo primitivo contro un mammut, che gira attorno, schivandola, ballandoci insieme, rincorrendola o venendo rincorso, ad una ruspa (non c’era Matteo Salvini alla guida, tranquilli) con la sua bocca meccanica spalancata di denti d’acciaio come ruggito di fiera.

La carne e il metallo, la fragilità contro l’indistruttibile, la debolezza e l’infrangibile. Si studiano e si osservano come avversari appena saliti sul ring, si guardano torvo, il motore della gru raspa e romba alzando, come una proboscide, il suo argano al cielo. I movimenti sono millimetrici, perfetti, mirati. Si inchinano l’un l’altro, si rispettano; adesso vige l’armonia, ora equilibrista, come incantatore di serpenti, deve cercare di calmare la bestia, di domarla salendogli sopra oppure stringendo il patto di farsi trasportare in alto appeso con leggerezza, trascinato o spinto con tenerezza. La macchina demolitrice potrebbe schiacciarlo, distruggerlo, annientarlo, polverizzarlo e invece vige, tra le varie scaramucce e incomprensioni che corroborano ogni legame, armonia e sintonia. Strano a dirsi, ma la macchina dopo un po’ sembra avere un’anima, mostrare un carattere, che dialoghi, risponda, che si sia instaurato un rapporto di fiducia tra i due, una relazione vera, sincera tra l’acrobata e il caterpillar, tra il funambolo che si issa in alto a braccia aperte come il Cristo del Corcovado e il bulldozer escavatore da tonnellate di pesantezza: “Ci sono più cose in cielo e in terra di quante ne sogni la filosofia”.

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