Sono due i camion-bomba esplosi ieri, 14 ottobre, nel cuore di Mogadiscio, capitale della Somalia. Lo riferisce il New York Times. Testimoni hanno dell'”l’esplosione più forte mai sentita in città in anni recenti”. I due automezzi sono saltati in aria nel quartiere centrale di Hodan, di fronte al Safari Hotel. Ci sono almeno 230 morti e centinaia di feriti. Le forze dell’ordine hanno spiegato che i due camion sono esplosi mentre venivano seguiti per essere controllati in quanto “sospetti”. Secondo alcuni media ci sarebbe stata anche un’altra esplosione, verificatasi due ore dopo le prime poco lontano, nel quartiere di Medina.

Il Safari Hotel, in gran parte crollato, si trova su una strada molto affollata, piena di ristoranti e chioschi, e soprattutto vicino al ministero degli Esteri e ad altri uffici governativi e ambasciate, tra cui quella del Qatar. Il numero delle vittime è in continuo aggiornamento proprio perché ci sono persone intrappolate sotto le macerie dell’albergo. Altri edifici limitrofi sono rimasti gravemente danneggiati e decine di auto hanno preso fuoco.

Molti feriti hanno riportato ustioni talmente gravi da essere irriconoscibili. L’unico servizio di ambulanze gratuito di Mogadiscio, Aamin Ambulance, impegnato nelle operazioni di soccorso, ha twittato: “In 10 anni di esperienza è la prima volta che assistiamo a una cosa del genere”. Il presidente somalo Mohamed Abdullahi Farmajo ha proclamato tre giorni di lutto e ha chiesto ai suoi concittadini di andare a donare sangue.

Il governo, che ha parlato di un “disastro nazionale”, ha attributo la strage al gruppo islamista di Al Shaabab, cellula somala di Al Qaeda. Gli estremisti, che sono stati spesso responsabili di attentati nella capitale e che ultimamente hanno aumentato gli attacchi contro basi militari nella Somalia centrale e meridionale, per il momento non hanno rivendicato.

Il presunto fallito attentato avviene due giorni dopo l’incontro a Mogadiscio tra esponenti del Comando americano in Africa e il presidente somalo. E sempre due giorni prima si erano dimessi dal governo il ministro della Difesa, Abdirashid Abdullahi Mohamed, e il capo delle forze armate, il generale Mohamed Ahmed Jimale.

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