“La prima mostra come presidente di Palazzo Ducale è questa, vi prego abbiate la pazienza di leggere queste poche righe. Quando mi hanno detto Rubaldo Merello la mia reazione è stata esattamente quella di molti di voi. E chi è? (L’ho detto diversamente, ma è lo stesso) Ora, visto che sono analfabeta e sono andato su Google, non sto qui a scrivervi chi è, andatelo a vedere. Ma fate di più: venite a vedere la mostra. Vi giuro che è un’esperienza impressionante”. Luca Bizzarri scrive su Facebook della sua nuova esperienza. No, niente a che fare con la sua professione di attore. Qui a parlare è il presidente di Palazzo Ducale, a Genova.

Un Presidente che non fa nulla per nascondere la sua ignoranza su uno dei maggiori artisti del Divisionismo e Simbolismo ligure, appunto Rubaldo Merello. Un artista che la mostra, curata da Matteo Focchessati e Gianni Franzone, permette di conoscere attraverso le sue opere. Ignoranza quella di Bizzarri che non può ovviamente sorprendere. A lui mancano le competenze in campo artistico, non ne ha fatto mistero. E’ davvero poco probabile che si possa passare da “Camera cafè” e “Quelli che il calcio” al commento di una mostra di un artista, anche se celebre, senza mostrare indecisioni. Ma non è questo il punto, non è questo che si deve imputare a Bizzarri.

Userò la fantasia, l’esperienza che ho accumulato negli anni, la passione che mi lega a tutte le forme di spettacolo, intrattenimento e cultura…”, aveva spiegato l’attore al momento della sua nomina alla Presidenza di Palazzo Ducale, appena due mesi fa. Invece non sembra esserci alcuna fantasia e neppure traccia di curiosità in questo esordio del compagno di scena di Paolo Kessisoglu. Bizzarri si presenta proprio come molti si aspettavano. Sfoggiando un vocabolario inadeguato alla circostanza (“Allora alzate il culo, venite a vedere Merello”) che piuttosto che invogliare alla visita della mostra fa nascere il sospetto che si tratti di un escamotage per accendere interesse. Non è così, ma il dubbio viene.

Pensare che sia possibile ricorrere a modalità di comunicazione universali, senza tenere alcun conto del contesto, è – temo – un’assurdità. Discorrere con un inviato su un campo di calcio durante una trasmissione sportiva è una cosa, parlare d’arte, di un evento d’arte, un’altra. Ben inteso, anche se si è dei profani non solo dei critici d’arte. Si tratta di rispetto dei registri narrativi, come talvolta ancora si insegna alle scuole medie, non è questione di essere “polverosi”. Direi piuttosto che si tratta di aver il giusto riguardo nei confronti di chi visiterà la mostra. Magari solo per curiosità.

Che questo “impegno” possa contribuire alla crescita e al rilancio di Genova è tutto da dimostrare.

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