Aldilà delle brochure turistiche, Cuba e Giamaica sono due regimi, diametralmente opposti nel loro ordinamento. Cuba: per oltre mezzo secolo uno Stato assoluto, improntato sulla personale interpretazione di Fidel Castro del comunismo; Giamaica: il settore privato, locale e internazionale, ha in pratica esautorato lo Stato dal controllo d’infrastrutture, estrazione di materie prime, turismo e welfare sociale. Una prerogativa sola li accomuna: lo sfruttamento dei cittadini meno abbienti come commodities (merce).

Giamaica, il regime dei privati

La piccola isola è un nodo nevralgico dei Caraibi a livello investimenti e interessi strategici. Giganteggia, a dispetto delle ridotte dimensioni, per le sfaccettature del suo corpo sociale, formato da classi sigillate. Dopo la fine del periodo socialista di Michael Manley negli anni 70, sfociato in una guerra civile tra il suo partito e l’opposizione pro-Usa capeggiata da Edward Seaga, che salì al potere nel 1980, il direttorio del settore privato prese il sopravvento. Cinquemila furono le vittime, 844 il giorno delle elezioni.

Il Private sector of Jamaica (Psoj) è emanazione diretta della minoranza benestante, tornata in patria dopo la restaurazione, appannaggio di cinesi nati in Giamaica, e giamaicani accomunati dal privilegio di una carnagione chiara, frutto degli incroci con gli inglesi e le altre etnie che dominarono i secoli della schiavitù prima e del colonialismo poi.

Lo stesso Seaga è discendente libanese, così come John Issa. Di origine inglese è Butch Stewart, mogol del turismo e fondatore delle catene alberghiere Sandals e SuperClubs. A costoro si sono aggiunti nel nuovo millennio i grandi investitori esteri, affondando le mani nella torta.

Royalton che ha acquistato parte dell’impero Issa, gli spagnoli Fiesta e Pinero, proprietari dei mega-resort Gran Palladium e Bahia, e le multinazionali Riu e Iberostar. Last but not least, i cinesi, che hanno costruito la nuova autostrada, oltre ad aver rilevato dai russi una cava di bauxite, con cui contendono l’estrazione agli Usa. Una festa per tutti. Va da sé che il costo della vita sia aumentato paurosamente, a scapito del welfare sociale, un impedimento al liberismo dei gruppi vecchi e nuovi.

La sanità è saldamente in mano a esosi medici in libera professione, con cliniche di lusso, il cui ricovero è garantito solo dopo deposito cauzionale di 2500 dollari. Dalle scuole medie in poi, l’istruzione che conta è monopolio privato, oppure in mano a istituti religiosi, ove si può accedere solo con graduatorie di voti tra 90 e 100. Il che sottintende dover comprare libri di testo carissimi.

Meno del 20% degli studenti si può permettere il lusso di un’istruzione decente. Il resto è relegato in aule sovraffollate, sotto la guida di insegnanti svogliati e malpagati. I genitori, spesso i giamaicani più neri, lavorano per i connazionali ricchi, o per gli stranieri residenti, retribuiti da paghe mensili che mediamente oscillano intorno ai 200/300 euro mensili. Nonostante ciò, il Pil ha una crescita media di 0,13%. Una miseria per un paese in via di sviluppo.

Ciò è dovuto agli enormi interessi sul debito, contratti con il Fondo monetario internazionale e la Banca Mondiale, e al fatto che il grosso dei profitti non si fermi qui, ma prenda il volo per Usa, Spagna e Repubblica Popolare Cinese. E per banche esentasse in Cayman, dove va il bottino dei ras locali. Oltre all’alto tasso di criminalità che scoraggia nuovi investimenti, e il costo di servizi come luce e acqua, che sono monopolio di società miste.

Cuba, barcolla ma non molla

Lo scambio intercorso per anni tra Cuba e Venezuela, è la conferma dei cittadini barattati come merce. Medici pagati con salari ridicoli costretti a emigrare, in cambio di circa 20 milioni di barili di petrolio, secondo quanto riporta Clara Riveros, autrice di Sud America Hoy.

E ora, con il regime di Maduro allo stremo, costretto a mediare con l’opposizione in seguito alle vittime su entrambi i fronti, lo Stato cubano barcolla; perdere l’appoggio del Paese alleato aggraverebbe la situazione, dopo che sembrano sfumate le aperture Usa, a causa delle “sparate anticastriste di Trump, culminate nel ritiro del 60% del personale diplomatico dall’isola, e lo stop al rilascio dei visti, per i presunti attacchi acustici contro cittadini americani.

Proprio adesso che i cuentapropistas occupano un piccolo spazio nel mercato, fagocitato per quasi 60 anni dalla burocrazia del socialismo reale, avida di privilegi, ma lacerata dalle lotte intestine delle sue corporazioni. Tuttavia, preferirei essere cubano, se fossi povero in canna con moglie incinta. Perlomeno, lei avrebbe assistenza gratuita durante il parto, e una magra libreta per non morire di fame

Senza contare che mio figlio potrebbe crescere nel paese con il tasso più basso di mortalità infantile e criminalità dei Caraibi e America Latina.

Scusate se è poco.

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