Stephen e Owen King. Chissà se il talento passa davvero di padre in figlio, come il colore dei capelli o la statura. C’è da augurarselo, perché di capolavori come quelli scritti da Stephen ce ne sarebbe bisogno a getto continuo. Shining, Carrie, It, Misery. Storie rimaste intrappolate nell’immaginario di chi le ha lette, o anche solo viste nella trasposizione cinematografica. Ora, i due King si sono messi insieme per firmare un nuovo thriller, Sleeping Beauties, e ne hanno parlato con Matteo Persivale in un’intervista pubblicata su La Lettura del Corriere della Sera.

La storia è quella di un mondo che rimane improvvisamente senza donne perché, spiega Owen, “si addormentano tutte”. Una premessa horror, piaciuta al padre e diventata un libro scritto a quattro mani. Perché a differenza del fratello Joe, anche lui scrittore ma uscito con cognome Hill per non essere considerato “figlio di”, Owen non ha paura del confronto col padre e anzi, dice che scrivere con cotanto papà è stato come giocare una partita a tennis. Al posto della pallina, le pagine: “Scrivevamo trenta, trentacinque e ci fermavamo a un punto di svolta, un’interruzione. E lì riprendeva l’altro”. E Stephen sembra averla giocata volentieri, quella partita. Cuore di babbo, direbbe qualcuno.

Sleeping Beauties l’autore di Shining lo racconta così: “L’idea di un mondo senza donne? Mia mamma aveva cinque sorelle, ho sposato una donna di grande carattere che aveva cinque sorelle. Sono nato, cresciuto e ho vissuto settant’anni tra le donne. Mi dichiaro tranquillamente femminista, le donne e le loro aspirazioni di uguaglianza le supporto al cento per cento. “Ma – rilancia Owen – eravamo molto fermi su un punto: non doveva essere un libro politico… Volevamo che la gente ricordasse la storia, non una tesi”.

Una chiacchierata, quella tra i due King, che dimostra un certo affiatamento, speriamo palpabile anche nella lettura di Sleeping Beauties, in uscita in Italia il 21 novembre. C’è tempo, e come poteva mancare, anche per qualche domanda sulla stretta attualità. A Stephen, che è attivissimo sui social, molto più del figlio e che non smette mai di battibeccare con il Presidente Trump: “Twitter mi piace tanto perché mi fa sforzare, mi costringe a comprimere un’idea in una riga e in poco tempo. Il lato meno bello e che mi piace di meno è – come dice Clint Eastwood – che “i pareri sono come il buco del culo: tutti ne hanno uno”, e chiunque sdottora su qualsiasi cosa. Io a volte, sono troppo politicizzato su Twitter. Questa mattina prima di questa intervista chiamo mia moglie e lei mi dice: Stephen King – mi chiama con nome e cognome quando deve sgridarmi, ha sempre fatto così – Stephen King, oggi non dire niente su Trump! Non voleva che togliessi l’attenzione dal libro chiedendo qualcosa di pesante. Dico solo questo: di recente ho visto una vignetta, Kim e Trump come neonati, col pannolino, a cavallo di due missili atomici. I loro giocattoli. Però ha ragione mia moglie, non scrivo trattati politici ma romanzi. Meglio parlare di romanzi”.

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