Per Vincent Bolloré e il suo staff è stato un duro colpo. Nessuno si attendeva di veder arrivare la Guardia di Finanza negli uffici parigini di Vivendi, azionista di peso sia di Mediaset che di Tim (l’ex Telecom Italia). Ad inviarla la procura Milano per acquisire documentazione sull’ipotesi di manipolazione di mercato sui titoli Mediaset nel dicembre dello scorso anno. E pensare che a Parigi, dopo la chiusura dell’affare Fincantieri-Stx, s’intravedeva invece la possibilità di un nuovo corso per Vivendi che punta a trovare un accordo con il governo italiano per lo sviluppo della banda larga. Ci contava anche Bolloré reduce da una tre giorni romana per la convention annuale di Vivendi.

E, invece, da Milano è arrivata l’ennesima batosta per effetto delle inchiesta della procura che, a febbraio, ha indagato sia il raider bretone che il suo braccio destro, Arnaud De Puyfontaine con l’ipotesi di aggiotaggio su titoli Mediaset. I magistrati meneghini, Fabio De Pasquale e Silvia Bonardi, non solo hanno disposto le perquisizioni nel quartier generale di Vivendi, ma anche della banca d’investimento Natixis dove sono arrivati i finanzieri del Nucleo di polizia valutaria della Gdf del capoluogo lombardo, assieme a rappresentanti della Gendarmeria di Parigi. “Siamo trasparenti”, ha fatto sapere Vivendi che ha definito “infondata” l’indagine che nasce da un esposto di Fininvest successivo al dietrofront dei francesi per l’acquisto della pay tv di Cologno Monzese, Premium.

Nel documento, depositato anche in Consob, i legali della famiglia Berlusconi avevano ipotizzato che Bolloré avesse rinnegato l’intesa sulla vendita della pay tv italiana per creare artificiosamente le condizioni di ribasso del titolo Mediaset e quindi successivamente acquistare azioni a prezzi di saldo. Secondo l’esposto, proprio le pressioni sul titolo Mediaset avrebbero consentito a Bolloré di conquistare facilmente il 29% del capitale di Cologno Monzese nel tentativo, poi sfumato, di sfilare il gruppo alla famiglia di Arcore. Di qui, la decisione di Fininvest e Mediaset di correre ai ripari chiamando in ballo la procura di Milano e chiedendo a Vivendi un maxi-risarcimento da 3 miliardi di cui si discuterà, in prima udienza, il prossimo 19 dicembre. Da allora la procura ha raccolto molte testimonianze fra cui anche quelle del direttore di Mediaset Marco Giordani, dell’ad Pier Silvio Berlusconi e del finanziere franco tunisino Tarak Ben Ammar, consigliere di amministrazione di Vivendi e di Telecom oltre che mediatore nel contratto di acquisto di Mediaset Premium.

Intanto, lontano dalle aule di tribunale, sono andate avanti anche le indagini di Consob e Agcom sulla campagna d’Italia di Vivendi: l’autorità guidata dall’ex parlamentare di Forza Italia, Giuseppe Vegas, ha decretato che Vivendi ha il controllo di fatto di Tim; l’authority di Angelo Cardani ha poi rincarato la dose nell’aprile scorso intimando a Vivendi di scegliere fra la partecipazione in Mediaset e quella in Telecom nel giro di un anno. Solo recentemente Vivendi è riuscita a strappare una soluzione di compromesso promettendo all’Agcom la costituzione di un trust indipendente cui delegare la gestione del pacchetto di azioni Mediaset. Con la decisione di affidare ad amministratori terzi i titoli di Cologno Monzese, Bolloré ha cercato una tregua con Berlusconi e con il governo italiano. Ma l’interruzione delle ostilità non è durata a lungo con le minacce del ministro Carlo Calenda di utilizzare i poteri speciali del governo per la tutela delle aziende strategiche, il cosiddetto golden power. E, infine, la prospettiva di una salata multa su Tim, che sarebbe colpevole di non aver notificato a Roma il rafforzamento dei francesi nell’assemblea dello scorso 4 maggio. Segno insomma che la guerra aperta sul futuro di Tim e Mediaset è ancora decisamente aperta.

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