L’Italia, nonostante i piccoli progressi degli ultimi mesi, resta al quartultimo posto tra i 35 Paesi sviluppati per percentuale di donne occupate. Il motivo? Secondo l’Ocse, che ha presentato nella sede del ministero dell’Economia un rapporto sulle competenze dei lavoratori italiani, sono percepite come “assistenti familiari“. Nel senso che svolgono la maggior parte del lavoro domestico non retribuito. Aggiungi “l’accesso limitato ad asili nido a prezzi accessibili” e a “posti di lavoro flessibili che potrebbero aiutarle a gestire lavoro e famiglia” e un sistema che “continua a favorire le madri – invece che i padri – a prendere il congedo familiare”, ed ecco spiegato perché il tasso di occupazione non arriva nemmeno al 50%. A luglio ha toccato il 48,8%: un record storico per l’Italia, ma la media Ue è più alta di circa 17 punti. Per cambiare le cose occorre, scrive l’organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, “incoraggiare i padri a richiedere più permessi retribuiti per i figli”, ad esempio con “l’estensione della durata dei congedi di paternità”.

“Dato preoccupante, molte donne non sono neanche alla ricerca di un posto di lavoro”, proseguono gli analisti Ocse nel rapporto ‘Skills Strategy Diagnostic Report – Italy 2017’. “Ciò fa sì che l’Italia faccia registrare il terzo tasso di inattività più alto tra paesi membri dell’Ocse”. Oltre al lavoro non retribuito che svolgono in casa e alla carenza di servizi pubblici, parte del problema dipende dal fatto che “scelgono spesso specializzazioni universitarie che non sono molto richieste dal mercato del lavoro e che rendono loro difficile trovare un’occupazione dopo la laurea”. Inoltre, “il sistema fiscale fornisce deboli incentivi finanziari per l’occupazione a chi, come spesso accade alle donne, costituisce la seconda fonte di reddito familiare”.

Pochi laureati, con scarse competenze e utilizzati male -Dal report emergono anche molte altre debolezze del sistema italiano. Più di 13 milioni di adulti hanno “competenze di basso livello“. Solo il 20% degli italiani tra i 25 e i 34 anni è laureato rispetto alla media Ocse del 30%. Inoltre “gli italiani laureati hanno, in media, un più basso tasso di competenze” in lettura e matematica (26esimo posto su 29 paesi). Non solo, quelli che ci sono non vengono utilizzati al meglio, risultando “bistrattati“. L’Italia è “l’unico Paese del G7” in cui la quota di lavoratori laureati in posti con mansioni di routine è più alta di quella che fa capo ad attività non di routine. Anche per questo la produttività, “che per un ventennio ha avuto in Italia un andamento stagnante, permane a livelli non soddisfacenti”. “L’Italia è bloccata in un equilibrio di basse competenze”, ha commentato il segretario generale Ocse Angel Gurria alla presentazione del rapporto.

Ai giovani manca l’orientamento…  – I giovani, da parte loro, “devono affrontare una transizione difficile dalla scuola/università al mondo del lavoro. I giovani italiani hanno raramente accesso a servizi di orientamento che li aiutino a scegliere nella vasta gamma di possibili percorsi di formazione e carriera. Una parte significativa di giovani impiega troppo tempo a terminare gli studi”. Passando agli adulti, “in Italia, più di 13 milioni hanno competenze di basso livello“: è dunque necessario sviluppare competenze rilevanti, attivarne l’offerta e utilizzare le competenze in modo efficace. Tra le altre sfide, fornire ai giovani di tutto il Paese le competenze necessarie per continuare a studiare e per la vita, aumentare l’accesso all’istruzione terziaria e migliorare la qualità e la pertinenza delle competenze. Bisogna poi utilizzare meglio le competenze sul posto di lavoro, promuovere l’innovazione e la valutazione e previsione dei bisogni di competenze per ridurre lo skills mismatch, cioè il disallineamento tra domanda e offerta di competenze.

…così domanda e offerta non si incontrano – “Il fenomeno dello skills mismatch, che si verifica quando le competenze di un lavoratore non sono allineate con quelle richieste per compiere uno specifico lavoro, è molto diffuso in Italia”, afferma l’Ocse, snocciolando i risultati della sua indagine. Circa il 6% dei lavoratori possiede competenze basse rispetto alle mansioni svolte, mentre il 21% è sotto qualificato. Sorprendentemente, malgrado i bassi livelli di competenze che caratterizzano il paese, si osservano numerosi casi in cui i lavoratori hanno competenze superiori rispetto a quelle richieste dalla loro mansione, cosa che riflette la bassa domanda di competenze in Italia. I lavoratori con competenze in eccesso (11,7%) e sovra-qualificati (18%) rappresentano una parte sostanziale della forza lavoro italiana. Inoltre, circa il 35% dei lavoratori è occupato in un settore non correlato ai propri studi. “Riequilibrare la domanda e l’offerta delle competenze richiede che le istituzioni nel settore dell’istruzione e della formazione siano più reattive ai cambiamenti, che ci siano politiche per il mercato del lavoro più efficaci, ed un uso migliore di strumenti di valutazione e analisi dei fabbisogni di competenze attuali ed emergenti. Infine, sono anche necessari più sforzi da parte del settore privato e la disponibilità a collaborare con queste istituzioni pubbliche”.

Articolo Precedente

Taranto, 35 lavoratori romeni schiavizzati: 1,50 euro all’ora per raccogliere la frutta

next
Articolo Successivo

Disoccupate e schiave, la fotografia delle donne italiane

next