Da un paio di mesi hanno iniziato a circolare sulla stampa nazionale notizie sensazionalistiche su ipotetiche “prove” che la Sindone di Torino avrebbe contenuto un “uomo torturato”.

La Sindone appare nel Medioevo, in un’epoca in cui oggetti presuntamente appartenuti a Gesù spuntavano come funghi. Tutti ovviamente utilizzati al fine di sfruttare la credulità popolare e fare soldi alle spalle dei semplici di mente. Alcune “reliquie” erano davvero surreali: dal Latte di Maria ai Pannolini di Gesù fino alla decina di “Santi Prepuzi”. Ad affermare che la Sindone fosse un falso sono stati proprio gli uomini di chiesa, come Papa Clemente VII e il vescovo di Troyes Pierre D’Arcis, quando apparve in Francia nel Medioevo, e in epoca più recente l’abate Ulysses Chevalier, un preminente storico dei primi del Novecento, il quale, tramite i documenti originali, ha ricostruito la storia accertata del telo.

Il dibattito scientifico serio sull’ipotetica autenticità della Sindone si è chiuso nel 1989, quando 12 analisi tramite radiocarbonio, eseguite in tre laboratori diversi in giro per il mondo la hanno tutte datata indiscutibilmente al Medioevo, proprio nel momento in cui appaiono le prime testimonianze storiche attendibili. Dopo il radiocarbonio, si è sviluppata una scienza parallela, la cosiddetta “sindonologia”, all’interno della quale alcuni scienziati cercano le conferme della propria fede con ricerche improbabili.

Recentemente, hanno avuto grande eco mediatico due studi scientifici i quali riporterebbero “le prove” che “l’uomo della Sindone” avrebbe subito “torture” e una “morte violenta”, guarda caso proprio come sarebbe accaduto a Gesù Cristo. In pochi sembrano aver mosso dubbi, a parte Sylvie Coyaud che ne ha parlato in modo spietato nel suo “parco delle Bufale” e il Cicap, il Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze.

Il primo di questi articoli scientifici è stato pubblicato sulla rivista PLoS ONE, ed è una pubblicazione “open access”, ovvero liberamente accessibile dai lettori ma per la quale gli autori pagano (in questo caso circa 1500 dollari americani). L’altro articolo è invece apparso su una rivista di tipo tradizionale. È il primo quello in cui si parla delle presunte torture.

Due degli autori di questo studio, Liberato De Caro e Cinzia Giannini, ricercatori presso il Cnr, avevano ricevuto una certa notorietà quest’anno grazie a un loro lavoro nel quale una rielaborazione grafica delle immagini della Sindone rivelerebbe sotto le mani l’impronta di un presunto pollice (perché non altro in quella zona…?) e di particolari anatomici esclusivamente maschili.

Un altro autore, Giulio Fanti, professore universitario a Padova, sostiene in un suo libro di aver avuto anche lui dei dubbi giovanili sul fatto che la Sindone potesse essere un falso, fugati però da “segni” ricevuti da Gesù stesso. Chissà come reagirebbe il paziente che, arrivato in sala operatoria, si sentisse dire “per il suo bypass coronarico, al posto della procedura che impiegano in tutto il mondo, oggi ne utilizzeremo un’altra, suggerita dalla Vergine Maria. Abbia Fede”. Perché mai fidarsi dell’odiato radiocarbonio quando si può chiedere direttamente alla Madonna?

In questi articoli, i campioni di materiale sindonico sono fibrille di circa 2 mm, che sarebbero state prelevate dalla Sindone nel lontano 1978 mediante nastri adesivi dal chimico Ray Rogers. Questo studioso riteneva il test del radiocarbonio “falsato” perché il campione proveniva da una zona nella quale sarebbe stato presente un “rammendo medievale invisibile”, il quale essendo appunto invisibile, era visibile solo a lui ed agli altri sindonologi.

I nastri di Rogers furono affidati a Walter McCrone, un microscopista che non vi trovò alcuna prova della presenza di sangue (d’altronde il presunto sangue sulla sindone è di colore rossiccio, mentre quello vero diviene scuro dopo pochissimo tempo) ma bensì di pigmenti pittorici. McCrone fu accusato di aver “contaminato” i campioni a lui affidati ed espulso dal gruppo dei sindonologi. Le fibrille immerse nell’adesivo sarebbero state quindi “laboriosamente ripulite” dalla moglie di Rogers.

Assumiamo però pure che questi campioni appartengano davvero alla Sindone, e che tutte queste manipolazioni miracolosamente non abbiano influito sulle analisi.

Nei due articoli, si indentificano delle sostanze organiche. Queste, secondo gli autori, proverrebbero proprio dal presunto sangue dell’uomo della Sindone, e non invece da contaminazioni nei secoli successivi. Il riconoscimento di queste molecole è eseguito con tecniche che praticamente mai sono impiegate per identificare sostanze ignote, perché difficilmente permettono di assegnare con certezza la struttura. Oltre alle sostanze che credono di vedere gli autori, i loro dati sono compatibili con moltissimi dei 100 milioni di composti chimici noti e loro miscele. Sarebbe come sospettare una persona di un delitto tramite una foto in lontananza sfocata e sgranata, presa in una piazza dopo anni. Ma anche qui facciamo un atto di Fede e assumiamo che davvero ci sia “biliverdina” in un caso, e “nanoparticelle di ferridrite legate alla creatinina” nell’altro e andiamo avanti.

La prova delle “torture” sarebbe proprio l’aver identificato queste presunte “nanoparticelle”. I riferimenti che dovrebbero ipoteticamente supportare queste affermazioni (41 e 42 nello studio), però parlano di tutt’altro. In effetti, è riportato che la presenza di una concentrazione elevata di creatinina nel plasma è legata a traumi, ma in entrambi gli articoli non si nomina alcun composto del ferro. Essendo la concentrazione una quantità di un soluto in una di soluzione, sembra impossibile ipotizzare che la semplice presenza di una sostanza (ammesso ci sia davvero) possa essere correlata in qualche modo all’evidenza di un trauma, o almeno, non ho trovato alcun articolo scientifico che affermi ciò.

Il CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche) e l’Università di Padova hanno rilasciato dei comunicati stampa su questi studi. Anche il governatore del Veneto, Luca Zaia, il quale ha dubbi sulla legge riguardo l’obbligo vaccinale ma nessuno su queste ricerche (sarà un caso?) si è complimentato con i ricercatori.

Ovviamente ciascuno ha la libertà di svolgere le ricerche che crede e di professare le proprie convinzioni religiose. La fede è un fatto privato, l’uso di fondi pubblici per studi condotti in modo discutibile un po’ meno. Assistiamo a una perdita di fiducia da parte delle persone nella scienza. Quando però le istituzioni scientifiche danno credito a studi poco verosimili, diviene più complesso spiegare che bisogna fidarsi degli scienziati piuttosto di chi dice di curare i tumori con gli impacchi di ricotta e ortica. L’università prima ancora delle nozioni dovrebbe insegnare la capacità critica, che a leggere come sono stati accolti questi studi sembra essere rimasta in secondo piano.

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