“L’attuale tendenza è far vivere solo il presente. Si vive gettando nel proprio Io solo quello che si vede nell’istante che si sta vivendo. Ma il presente in sé è solo un deserto”. Lo scrittore, drammaturgo e regista Giorgio Pressburger, autore de L’orologio di Monaco, è morto. Aveva 80 anni. In trent’anni di carriera letteraria aveva raccontato con grazia e rinnovata passione la cupa origine del male della storia, arricchendola di continuo da traballanti, fitti ed infiniti alberi genealogici simili a quello della sua famiglia.

Nato in Ungheria da genitori ebrei slovacchi, ma naturalizzato italiano, Pressburger è stato una sorta di ricca sintesi geo-anagrafica dell’incrocio mitteleuropeo novecentesco, come di tutte le sue tragiche contraddizioni storiche e politiche che raccontò nei suoi sofferti e cupi racconti. Scampato allo sterminio nazista perché rifugiatosi per mesi nei sotterranei di una sinagoga, poi fuggito da Budapest nel 1956 dopo l’invasione sovietica, con il fratello gemello e la sorella, il ventenne Giorgio si ritrovò al confine con l’Austria, contrattò economicamente il passaggio di confine con un doganiere vigliacco e finì per espatriare in Italia, a Roma, dove rinacque a nuova vita e lì rimase per 30 anni. Imparentato con Karl Marx, Edmund Husserl, e con l’omonimo regista Emeric collega di Michael Powell e autori di Scarpette Rosse,  nella capitale Pressburger iniziò a frequentare l’Accademia d’Arte Drammatica. Ottenne un sussidio mensile, divenne amico di Alberto Moravia e Dacia Mariani, e di un certo Andrea Camilleri quando ancora l’inventore del Commissario Montalbano era funzionario RAI. Pressburger divenne così autore di testi per la televisione (assieme a Piero Chiara e Bruno Maderna); radiofonici (mescolando testi classici e sperimentazione musicale); infine teatrali, anche come regista di testi altrui tra cui Cechov, Goldoni, ma anche Carlo Ginzburg e con la trasposizione del celebre romanzo Danubio di Claudio Magris. Negli anni ottanta si trasferisce a Trieste, là dove si riannodano i fili proprio con quella Mitteleuropa da cui era partito. Trieste un po’ come Budapest, la “città letteraria sotto la bruma dei ricordi” spiegò lo scrittore.

Fu dalla residenza triestina che ricominciò a scrivere racconti e romanzi. Una lunga produzione di almeno una quindicina di testi e raccolte che l’hanno visto vincere diversi premi ed affermarsi con titoli come La neve e la colpa, Di Vento e di fuoco, L’orologio di Monaco. Su quest’ultima raccolta di racconti (Einaudi, 2003) Mauro Caputo ne trasse un documentario straordinario che andrebbe mostrato nelle scuole. Alla base lo spunto autobiografico, quel geroglifico di culture e radici europee, a cui Pressburger prestò amorevolmente viso e voce, dove il racconto di un uomo diventa racconto dell’uomo.

“Giorgio, che conosco da tempo, è come un pretesto per parlare dell’umanità, di tutti noi”, spiegò Caputo al fattoquotidiano.it. “Con la sua presenza rassicurante facciamo un viaggio nel tempo senza sapere esattamente in che momento storico ci si trova. Vogliamo trasmettere un messaggio, un insegnamento per le nuove generazioni che si stanno dimenticando la loro storia, le loro radici”. “Essere legati ad un gruppo umano crudelmente menomato come quello ebraico e dell’Europa centrale aumenta la responsabilità nel raccontarlo, perché si stanno agitando le stesse nefandezze, magari come provocazione, di oscure e antiche obiezioni”, ci raccontò nel 2015 lo stesso Pressburger. Confermando una visione pessimistica sul nostro vuoto presente: “Vedo con pessimismo il presente, non il futuro. L’uomo non è il consegnarsi cieco ad un unico momento. Il solipsismo si sta diffondendo in modo pericoloso e può sfociare nel contagio del razzismo e di sentimenti osceni incontrollati”. Pressburger si candidò nel 2009 per il Parlamento Europeo con l’Italia dei Valori, senza essere eletto: “Un ruolo che mi fu offerto. Pensai e penso tuttora che la politica a livello europeo potesse cambiare qualcosa nell’ambito culturale. Ho dedicato la mia vita per un’Europa senza più razzismi e popoli che si odiassero. Dopo 3000 anni di massacri ho fatto di tutto perché venisse a galla la grande cultura che si è coltivata. Anche se questa esperienza politica brevissima la reputo una delusione”.

Articolo Precedente

1977 Juventus Anno Zero: ovvero la storia della ‘gestione Fiat’ applicata al calcio in un’Italia più nera che bianca

next
Articolo Successivo

‘Arrivano dal mare’, quando i burattini insegnano l’autoironia

next