Cinquantanove morti, ma nessun ripensamento. Neanche dopo i 10 minuti di follia in cui Stephen Paddock ha aperto il fuoco sul pubblico di un concerto country a Las Vegas compiendo la strage più sanguinosa della storia d’America, la Casa Bianca ha intenzione di rivedere la legislazione sulle armi da fuoco. “Parleremo di legge sulle armi col passare del tempo“, ha messo in chiaro Donald Trump parlando con i cronisti prima di imbarcarsi sull’Air Force one per Puerto Rico. Le 42 armi da fuoco – 23 nella stanza dell’albergo, dove Paddock si è tolto la vita poco prima che gli Swat facessero irruzione per fermare la strage, e altre 19 nella sua casa di Mesquite – trovate dalla polizia nella disponibilità dell’uomo non sono sufficienti sotto la presidenza del miliardario newyorkese a far riaprire il dibattito sulle gun laws.

“Il nostro dolore non è sufficiente. Possiamo e dobbiamo mettere la politica da parte, scendere in campo contro la Nra (National Rifle Association, la lobby Usa delle armi ndr) e lavorare insieme per provare a impedire che questo succeda di nuovo”, ha scritto su Twitter la ex segretaria di Stato democratica Hillary Clinton poche ore dopo la sparatoria. Ma, prima ancora che arrivassero le parole di Trump, la Casa Bianca aveva frenato su questo: “Sarebbe prematuro discutere di politica quando ancora non conosciamo appieno tutti i fatti né cosa sia avvenuto”, aveva detto la portavoce Sarah Sanders.

La questione per Trump è complessa: lui, che dalla Nra ha ricevuto finanziamenti in campagna elettorale, non solo dopo l’arrivo alla Casa Bianca ha firmato una legge che sospende la norma voluta da Obama per impedire che le persone con problemi mentali possano comprare armi, ma il 28 aprile è diventato anche il primo presidente dopo Ronald Reagan nel 1983 a tenere un discorso davanti alla convention annuale dell’Nra. E in quell’occasione assicurò alla lobby delle armi che ha un “amico” alla Casa Bianca: “Vi prometto questo: come presidente non interferirò mai con il diritto del popolo di possedere e portare con sé armi. La libertà non è un regalo del governo, è un regalo di Dio”, disse allora il presidente Usa. Inoltre il figlio di Trump, Donald Trump Jr., è a favore di una proposta di legge che vorrebbe agevolare l’acquisto di silenziatori per le armi da fuoco.

Una proposta presentata, insieme a quella di consentire alle persone con il permesso di trasportare armi nascoste di portarle anche in altri Stati, al Congresso dai Repubblicani prima della strage. In seguito alla quale i democratici hanno fatto sentire la loro voce. Il leader della Camera, Chuck Schumer, ha chiesto ai colleghi di approvare “leggi capaci di evitare le armi, specialmente le più pericolose, e che finiscano nelle mani sbagliate”. La leader del Senato, Nancy Pelosi, ha chiesto allo speaker della Camera Paul Ryan una commissione ad hoc per lavorare a una nuova normativa e di ritirare il progetto di legge per facilitare l’uso dei silenziatori. Ma da Ryan è arrivata una decisa frenata: quest’ultimo è congelato”, ma “al momento il progetto di legge (contenente limitazioni, ndrnon è in programma. Non so quando lo sarà”.

Il senso della decisione di Trump e dei Repubblicani lo riassume Steven Bannon: “Impossibile: sarebbe la fine di tutto”, ha detto l’ex chief strategist della Casa Bianca tornato dirigente del sito di ultradestra Breitbart, rispondendo alla domanda di un giornalista di Axios che gli chiedeva se poteva immaginare una svolta a sinistra sulle armi dopo la strage. Lo riporta lo stesso sito: secondo Bannon, la sua base elettorale del tycoon reagirebbe malissimo.

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