La corruzione come un tarlo, il buon politico come un martire che deve immolarsi per il bene comune. L’incitamento a che più Paesi adottino corridoi umanitari per i migranti, e a che liberando gli schiavi di oggi si possa costruire un futuro che li integri. L’appoggio al “sistema Emilia”, che integra solidarietà e welfare, contro la “logica del profitto” a tutti i costi. Sono questi i temi affrontati da Papa Francesco nel corso della sua visita in Emilia Romagna: in primo luogo il Pontefice ha voluto parlare dell’importanza della politica corretta. “La corruzione è il tarlo della vocazione politica”, ha detto, “non lascia crescere la civiltà e il buon politico ha anche la propria croce quando vuol esserlo perché deve lasciare tante volte le proprie idee personali per armonizzarle con quelle degli altri, perché venga portato avanti il bene comune”. Il “buon politico”, ha aggiunto, è colui che è disposto a lasciare le proprie idee per andare verso il bene comune, “e da questo punto di vista sente di essere anche martire”. Bergoglio ha parlato quindi del “volto autentico” della politica: “Un servizio inestimabile al bene all’intera collettività. E questo è il motivo per cui la dottrina sociale della Chiesa la considera una nobile forma di carità. Invito perciò giovani e meno giovani a prepararsi adeguatamente e impegnarsi personalmente in questo campo, assumendo fin dall’inizio la prospettiva del bene comune e respingendo ogni anche minima forma di corruzione”. Sempre sulla politica il Papa ha anche condannato la tendenza a “ritrarsi di fronte all’aggressività e alla pervasività di altre forme di potere, come quella finanziaria e quella mediatica”.

Papa Francesco, nel corso della visita in Emilia Romagna, si è anche recato all’Hub di Bologna, dove sono ospitati circa mille migranti, e ha ricevuto in dono un braccialetto identificativo che indica l’inizio del percorso di accoglienza dei richiedenti asilo ospitati nella struttura. Il Pontefice lo ha messo al polso. “Vengo in mezzo a voi perché voglio portare nei miei i vostri occhi, nel mio il vostro cuore. Voglio portare con me i vostri volti che chiedono di essere ricordati, aiutati, direi ‘adottati’, perché in fondo cercate qualcuno che scommetta su di voi, che vi dia fiducia, che vi aiuti a trovare quel futuro la cui speranza vi ha fatto arrivare fino a qui”. Poi rivolto agli operatori della struttura e agli ospiti che definisce “lottatori di speranza”: “Qualcuno non è arrivato perché è stato inghiottito dal deserto o dal mare. Gli uomini non li ricordano, ma Dio conosce i loro nomi e li accoglie accanto a sé”, ha detto il pontefice prima di invitare a un minuto di silenzio in ricordo delle vittime.

Bergoglio ha quindi parlato dei “preti arrampicatori” che sono una “peste”. Per non parlare del vizio del chiacchiericcio clericale. Papa Francesco, incontrando a Bologna, nella cattedrale di San Pietro, preti, suore, religiosi e diaconi, ha espresso la sua visione di come dovrebbe essere il comportamento di chi indossa l’abito sacro. “Due vizi che ci sono dappertutto. Forse a Bologna no, ma si vedono ovunque. Uno è il pensare il servizio presbiterale come carriera ecclesiastica. Io mi riferisco ad un vero atteggiamento arrampicatore: questa è peste, gli arrampicatori che cercano di farsi strada e hanno le unghie sporche sempre perché vogliono andare su”. L’altro “vizio è il chiacchiericcio clericale di chi distrugge la fama. Il chiacchiericcio è un vizio proprio del clericalismo”. Il Papa ha esortato al “coraggio della pazienza, sopportare. Coraggio di parlare con chiarezza”. Il Pontefice ha ricordato poi che la Chiesa deve avere sempre le porte aperte: “E’ triste quando un pastore non ha orizzonte di popolo, quando non sa cosa fare quando le chiese rimangono chiuse. Ma quando si vede una scheda nella porta ‘Dalla tal ora alla tal ora… poi non c’è nessuno’. Stesso discorso per le confessioni. Ma quando non è un ufficio, è il posto dove tu vieni ad adorare il Signore e se si trova la porta chiusa.. Penso alle chiese che sono sulle strade popolose, chiuse e qualche parroco ha fatto l’esperienza di aprirle cercando che fosse a disposizione un confessore.Quel confessore non finiva di confessare, la gente vede la luce e va, sempre la porta aperta e con quel servizio al popolo di Dio”.

Molto partecipato dalla società bolognese – c’erano anche il capo della comunità islamica, Yassim Lafram e il rabbino Alberto Sermoneta – l’appuntamento in piazza Maggiore: è lì che il Papa ha sostenuto il “sistema Emilia” e il pragmatismo di chi affronta i problemi dialogando, anche vivacemente, ma poi cerca soluzioni comuni. E a stringerli la mano in Piazza Maggiore sono stati in tanti, compresi due superstiti della strage nazista di Marzabotto e alcuni familiari sia della strage di Bologna – Paolo Bolognesi gli ha consegnato una lettera – che del disastro di Ustica; c’era anche Marina Orlandi, la vedova di Marco Biagi, il giuslavorista assassinato dalle Br sotto i portici di via Valdonica, e molti esponenti dei sindacati e delle forze produttive. C’era anche quello che mons. Matteo Zuppi ha presentato al Papa come “un ragazzo, c’è un ragazzo qui”, e Gianni Morandi, che mentre il Papa era in via Mattei aveva cantato per la folla in Piazza Maggiore, ha stretto la mano a papa Francesco, restando a capo chino. La giornata è proseguita con il pranzo con i poveri e gli incontri con i religiosi e poi con il mondo accademico e si è conclusa con la messa nello stadio Dall’Ara.

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