C’è una nuova condanna per Daniela Poggiali, l’ex infermiera di Lugo già assolta dalla Corte di Assise di appello di Bologna per il caso degli omicidi in corsia dell’ospedale Umberto I, del comune nel Ravennate. Questa volta si tratta di una pena –  confermata in appello –  di tre mesi di carcere e 100 euro di multa per un tentativo di furto. La donna ha sottratto 10 euro dal portafogli di un anziano che era andato in ospedale ad assistere la moglie in fin di vita.

Il tentato furto entrato nel mirino degli inquirenti risale alla sera del 19 ottobre 2013. Ma nei vari gradi di giudizio già affrontati dall’infermiera per le numerosi morti sospette durante i suoi turni, si era già fatto riferimento ad altre sottrazioni di beni (70-80 all’anno) verificatesi nel reparto della Poggiali quando lei era in servizio. Il suo difensore, l’avvocato Lorenzo Valgimigli, ha comunque annunciato ricorso. La 45enne ha anche un’altra condanna a quattro anni e mezzo sempre per furti in corsia: il processo d’Appello è fissato tra un mese.

Daniela Poggiali in passato è stata accusata di avere ucciso una sua paziente, la 78enne Rosa Calderoni, iniettandole la mattina dell’8 aprile 2014 due fiale di potassio. La stessa anziana che una volta deceduta è stata anche oggetto di un selfie da parte dell’infermiera. Dopo la condanna all’ergastolo della corte d’Assise di Ravenna, lo scorso luglio la Corte di Assise di appello di Bologna ha assolto l’ex infermiera “perché il fatto non sussiste”. Secondo i periti nominati dai giudici, infatti, non è stato possibile affermare che la 78enne fosse morta per “causa patologica naturale a insorgenza acuta”. E che il quadro clinico della paziente era “solo in parte compatibile” con una somministrazione di potassio ”a livelli letali”. Inoltre l’applicazione dell’innovativo metodo per il calcolo del potassio – ribattezzato ‘Tagliaro’, dal nome del consulente della Procura ravennate che lo ha usato per il calcolo al momento della morte della 78enne – “non trova analoghe applicazioni in letteratura, per quanto di nostra conoscenza”, avevano scritto i periti della Corte.

Argomenti che sono stati spiegati meglio nelle 70 pagine delle motivazioni dell’assoluzione pubblicate ad inizio settembre. La Corte d’Assise d’Appello di Bologna ha inquadrato la causa della morte della paziente Calderoni come un fenomeno naturale, per un “verosimile scompenso glicemico“. Nulla a che vedere, dunque, con una iniezione letale di potassio. I tempi della morte, infatti, non sono risultati compatibili con quelli da somministrazione di una dose che l’avrebbe uccisa molto più rapidamente. Anche nelle argomentazioni successive alla sentenza, i giudici hanno criticato il metodo utilizzato dal professor Tagliaro per determinare la concentrazione di potassio dall’umor vitreo della paziente prelevato dai bulbi oculari a 56 ore dal decesso. Una tecnica per la quale “non esiste consenso adeguato all’interno della comunità scientifica”. Anzi, è “un metodo sconosciuto alla medicina forense, che non risulta essere mai stato utilizzato in altro processo”. Sotto accusa da parte del giudice estensore Piero Messini D’Agostino vi sono anche i metodi d’indagine “fai da te” portati avanti dai sanitari dell’ospedale nelle prime ore dopo il decesso.

E le “improvvide indagini”  che consentirono di recuperare tra i rifiuti il deflussore, con forte concentrazione di potassio, da sempre attribuito alla defunta paziente. Ma sul quale non c’è alcuna certezza. Pur descrivendo Daniela Poggiali come “persona per certi versi disturbata, capace di condotte riprovevoli o di mentire, ma nel contempo scaltra e pronta” hanno specificato che “la sua innocenza è di gran lunga l’ipotesi più aderente ai fatti accertati nei due gradi di giudizio”. La donna è stata indagata anche per un’altra decina di morti sospette in corsia. Lei si è sempre difesa dicendo che è stato solo per sfortuna che i pazienti morissero durante il suo turno. Le argomentazioni pubblicate ad inizio settembre riportano una relazione dell’Ausl datata aprile 2014 secondo la quale “nei primi tre mesi degli anni 2012, 2013 e 2014 non emersero significative differenze in termini di mortalità fra un reparto e l’altro”. Dopo l’assoluzione in secondo grado dello scorso luglio i giudici hanno disposto l’immediata liberazione della donna che era in carcere dall’ottobre del 2014, mentre la procura generale sta preparando il ricorso in Cassazione.

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