Partendo dal presupposto che i Foo Fighters, raggiunte le vette massime del “rock da stadio”, non abbiano alcun bisogno di pubblicare un nuovo album tanto per girare il mondo (cosa che invece rappresenta una conditio sine qua non per la maggior parte delle band/artisti moderni in tempi di musica liquida), è altrettanto lecito maturare ogni volta delle aspettative verso Dave Grohl e compagni ‘complici’ i precedenti due, ottimi, Wasting Light e Sonic Highways.

Concrete And Gold è qui per ricordarci, ancora una volta, perché dovremmo ringraziare i Foo Fighters di esistere e, al contempo, perché dovremmo dare il giusto peso a quella che è la loro proposta musicale ormai da anni. Dire grazie, sì, perché questo gruppo ha avuto ed ha tuttora il merito di mantenere il rock al livello che la storia gli ha consegnato ed ha decretato gli spetti: parlando cioè di fronte a platee sconfinate e mettendo a tacere tutti quelli che, al giorno d’oggi, vorrebbero un mondo senza chitarre e distorsioni a favore di non meglio precisate soluzioni ‘sonore’.

D’altro canto, l’idea reiterata (seppur riveduta e corretta nel tempo) di schiacciare a più non posso sull’acceleratore del ritornello nega qualsivoglia forma di sperimentazione di cui, forse, uno come Dave Grohl (almeno lui) dovrebbe farsi ambasciatore anche per conto degli altri e non solo attraverso i suoi side-project. Prodotto da quel Greg Kurstin che ha fatto le fortune, negli anni, di star del pop quali Lily Allen, Sia, Shakira, Rita Ora e James Blunt ma anche, in altri campi, Red Hot Chili Peppers e Beck, “Concrete And Gold” è il primo album dei Foo Fighters nel quale compare in veste ufficiale il tastierista Rami Jaffee: che un po’ come accadde ai Pearl Jam di “Riot Act” con Kenneth Gaspar riempie, come è giusto che sia, senza snaturare o sconvolgere. Lo stesso dicasi per le ospitate illustri che hanno coinvolto, su tutti, Paul McCartney (alla batteria) e Justin Timberlake (seconda voce su “Make It Right”): semplici aggiunte sul curriculum, già illustre, di un gruppo che ha imparato (eccome) a farsi voler bene da chiunque.

Un disco rassicurante, per farla breve, di cui è impossibile non parlare per via già solo del tam tam mediatico che – complice l’occupazione di ogni spazio televisivo da parte del già citato Grohl – riesce a trasformare un’onesta opera rock in un capolavoro d’altri tempi: andando forse oltre le intenzioni degli stessi Foo Fighters. E sia chiaro, prima che le community e le fan base di tutto il mondo scelgano di schierarsi a testuggine, che di carne al fuoco ce n’è: “Run”, “The Sky Is A Neighborhood”, “La Dee Da”, “Dirty Water”, “Arrows” e la stessa “Concrete And Gold” sono dei gran bei pezzi e nessuno qui ha alcun interesse (quale poi?) a negare l’evidenza dei fatti, chi sceglie di sposare la causa dei Foo Fighters lo fa per un senso di appartenenza che aldilà delle singole canzoni che portano il loro nome (le registrazioni avrebbero dovuto aver luogo di fronte a quasi 20mila persone in “presa diretta”), se poi queste viaggiano, come è, ampiamente al di sopra della sufficienza allora tanto meglio. Se solo capitasse, ogni tanto, di stropicciarsi pure gli occhi forse sarebbe tutto ancor più bello. Nel mentre che questo non accade, già solo sentir parlare l’ex scalmanato batterista dei Nirvana di Sepultura, Motorhead, Rush come di Led Zeppelin è tanta, tanta roba.

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