di Carblogger

Shoichiro Toyoda, honorary chairman di Toyota motor corporation e padre dell’attuale Presidente Akio Toyoda, spiega sul global website che la filosofia dell’azienda che porta il suo nome si riassume in tre C: Creativity, Challenge, Courage, sottolineando che più incerto è il futuro, più è importante avere coraggio.

In generale, il tema del coraggio riveste un ruolo fondamentale nella cultura giapponese e rappresenta una delle sette virtù del bushido, il codice di condotta adottato dai samurai e largamente condiviso dalle corporation giapponesi (“courage is not blind, it is intelligent and strong” il coraggio non è cieco, è intelligente e forte).

E in effetti Toyota ha sempre dimostrato di averne, di coraggio.

Non solo con la scelta dell’ibrido, che risale a vent’anni fa, ma anche con quella, ugualmente importante, di localizzare la produzione in tutti i continenti in cui vende i propri prodotti. Compresa l’Europa, dove Toyota è presente dai primi anni Novanta con fabbriche in Gran Bretagna, Francia, Turchia, Repubblica Ceca, Polonia e Russia, ha investito una decina di miliardi di euro e venduto finora dieci milioni di veicoli.

Fino a qualche tempo fa, Toyota aveva l’ambizione di diventare un major player in Europa, che è considerata la culla della tecnologia e il mercato più sofisticato dove confrontarsi con i concorrenti. Poi qualcosa è cambiato, con la crisi del 2008 sono arrivate le prime perdite, e da allora i giapponesi hanno ripreso saldamente le redini e messo la regione in naftalina. Gli investimenti sono stati tagliati, il personale considerevolmente ridotto, le spese di vendita sono diminuite in percentuale rispetto al fatturato.

Da qualche anno, con la ripresa della domanda, le cose vanno meglio per tutti, ma l’atteggiamento di Toyota nei confronti dell’Europa non sembra essere cambiato, nonostante alcuni segnali positivi: un nuovo prodotto progettato e costruito in Europa, il crossover compatto C-HR, ha avuto un’ottima accoglienza, con oltre 70mila unità vendute nei primi sette mesi del 2017, mentre nel primo trimestre (che per Toyota va da aprile a giugno) il fatturato è aumentato del 20% e l’utile operativo è più che raddoppiato (20 miliardi di yen, circa 160 milioni di euro con un margine del 2.7%).

Tuttavia, nello stesso periodo, le spese per capitale sono state inferiori ai cinque miliardi di yen, e per tutto l’anno si stima saranno al di sotto dei 70 miliardi di yen, circa 540 milioni di euro, pari ad appena il 5% del totale che Toyota prevede di spendere a livello globale.

In un’intervista a Automotive news Europe, Didier Leroy, uno dei quattro executive vice president di Toyota motor corporation che riportano direttamente a Akio Toyoda, e responsabile, tra le altre cose, della regione europea, alla domanda su cosa impedisce a Toyota di guadagnare quota di mercato in Europa ha risposto: “We should remain modest, our market share is still between 4.5 and 5% at the pan-European level, but we are in the top five in half the countries we cover in Europe. This year we plan to sell 975,000 units, which is better than last year when we sold 928,000 units”.

Non esattamente un obiettivo ambizioso, dal momento che una decina di anni fa Toyota vendeva in Europa 1.2 milioni di veicoli con un utile operativo superiore al miliardo di euro. Eppure, la diffidenza che circonda il diesel sta favorendo in modo irreversibile la tecnologia ibrida (e di conseguenza la considerazione nei confronti del marchio Toyota che già beneficia di un vantaggio competitivo in termini di affidabilità), al punto che si prevede che entro il 2020 in Europa si venderanno due milioni di vetture ibride (incluse plug-in), oltre sei milioni nel 2025 e undici milioni nel 2030.

Finalmente, per Toyota sembra essere arrivato il momento di riprendere a crescere, e di rafforzare la propria leadership in Europa, concorrendo attivamente a definire nuove regole di cui si sente drammaticamente la mancanza. Coraggio.

@carblogger_it

Articolo Precedente

Fiat Chrysler non è mica l’Inter, siamo seri

next
Articolo Successivo

Elezioni Germania, la campagna trionfale della Merkel e quello slalom tra i guai dell’industria automobilistica

next