Dai “vermi magrebini” di Rimini, ai carabinieri “stupratori ma solo fino a prova contraria”. Dai marocchini colpevoli a prescindere dalle indagini, agli italiani che “aspettiamo le indagini” prima di dichiararli colpevoli. Appena 12 giorni separano la violenza di gruppo di Rimini da quella di Firenze sulle studentesse americane, eppure il modo in cui i media hanno raccontato i due episodi di cronaca sembra descrivere tipi di reato diversi. Per Marco Bruno, sociologo della comunicazione all’università La Sapienza di Roma, non ci sono dubbi: “È il classico esempio di doppiopesismo nel trattare certe notizie”.

Quindi per i media ci sono stupri di Serie A e stupri di Serie B?
La questione chiave è un’altra, ovvero come viene interpretata la singola notizia inserita in una catena di notizie, quindi in una tematizzazione. In tal caso, posso decidere il modo di raccontare la singola notizia per parlare di un tema più generale. Nel caso di Rimini quel modo era chiaramente funzionale a rappresentare un’immagine del mondo che faceva comodo a una certa parte politica. Nel caso di Firenze, invece, la società e i media riconoscono l’autore del reato come qualcuno che sta dalla nostra parte, nel nostro gruppo. Il che fa attivare un processo di minimizzazione, di garantismo, di quel “andiamo a vedere prima di parlare” che nella vicenda della violenza in riviera romagnola non è mai stato preso in considerazione nemmeno nelle prime ore.

Le indagini, gli indagati, le ammissioni di Firenze non spostano nulla a livello di riprovazione sociale?
In questo tipo di ragionamento è interessante analizzare le fasi di un evento: scoperta, denuncia, indagini. Nel caso di Rimini le indagini servono a confermare un quadro che è funzionale a confermare una rappresentazione collettiva. Nel caso di Firenze, invece, si aspetta il lavoro degli inquirenti per – eventualmente – minimizzare e smorzare, per capire se “erano ubriache o non erano ubriache”. Nulla di nuovo: si tratta di un meccanismo per cui un singolo evento serve a rafforzare un’idea del mondo che già c’è. Tutto questo si traduce nel tipo di selezione di alcuni aspetti della cronaca, privilegiando quelli utili a dare una chiave di lettura.

A cosa si riferisce?
Non solo al racconto del fatto in sé o al numero dei dettagli raccontati, quanto ai termini usati: il come, le metafore, gli aggettivi. Da questi elementi dipende l’attivazione di un frame invece che un altro. Come spiegato da tutta una letteratura sociologica, il doppiopesismo serve a consolidare i confini di una comunità, in un senso o nell’altro: o denigratorio per chi è fuori dal gruppo, o assolutorio per chi è interno al gruppo, “i nostri ragazzi”.

In una rappresentazione del genere, quale peso assume la figura della vittima?
Paradossalmente il comune denominatore per i casi di Rimini e Firenze è una sorta di disprezzo delle vittime. Nel primo caso, focalizzandosi totalmente contro gli aggressori, non è stato dato spazio sufficiente alle vittime per il semplice motivo che non interessavano più di tanto: interessava chi ha commesso il fatto per costruire la campagna politica. Contro i neri, contro i magrebini, i migranti: il tutto condito mediaticamente anche da un abuso nel fornire particolari dello stupro. Per Firenze, invece, non è stato così: non è la prima volta che esponenti delle forze dell’ordine vengono coinvolti in fatti simili con tanto di condanne, ma nessuno ha mai pensato di fare una campagna contro di loro. Anzi: qui la chiave di lettura è pesantemente denigratoria nei confronti delle ragazze americane.

In tal senso nelle ore successive al fatto di cronaca sono state pubblicate due notizie poi smentite: una statistica che parlava di oltre 150 denunce di molestie sessuali da parte di studentesse americane a Firenze (di cui il 90% poi rivelatesi false) e di una polizza contro lo stupro stipulata dalle due ragazze. Bufale social o dolo dei media?
Pensiamo alle ore successive al fatto di cronaca, quando gli elementi sono ancora scarsi: in questo frangente il cronista ha nella sua disponibilità alcune informazioni e quelle dà al lettore, sottovalutando però che quegli elementi già forniscono una chiave di lettura precisa. Il dolo, invece, si verifica quando alcune voci diventano notizie e informazioni disponibili. La vicenda delle 150 denunce di stupri all’anno, ad esempio, è una questione di deontologia professionale e anche di dimestichezza con i dati: si sa che le statistiche non possono essere lette così, perché le banche dati semplicemente non arrivano a essere così dettagliate.

Fa parte di quel “disprezzo delle vittime” di cui si parlava prima?
Sono fatti accessori che vengono utilizzati perché sembrano confermare una lettura, anche se sono voci non confermate. Così facendo si costruisce una cortina fumogena per non andare al succo del discorso: è una violenza sessuale, le vittime sono straniere, anzi extracomunitarie. Ma nessuno ovviamente lei chiama così. Nessuno scrive “italiani stuprano extracomunitarie”: non serve, al contrario di quanto è successo nel caso di Rimini. Funziona anche con le dichiarazioni degli avvocati dei protagonisti: vengono presentate come contributo ai fatti e non come una versione di parte. Questo dipende anche da come si gestisce la cronaca giudiziaria e da quanto i media sono oggetto e terreno in cui cominciano le strategie processuali.

 

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