Niente post-it gialli, nessun editoriale di fuoco, di uno sciopero generale dell’informazione neanche l’ombra. Se nel 2010 il black out totale di quotidiani, radio e televisioni aveva dato la spallata fondamentale alla stretta sulle intercettazioni del governo di Silvio Berlusconi, questa volta la reazione al bavaglio della stampa italiana è molto più tiepida. Anzi, per la verità, di reazione neanche si può parlare. Soltanto Repubblica, tra i grandi quotidiani, apre per il secondo giorno consecutivo sulla questione.

Dopo aver dato per primo la notizia della bozza del ddl inviata dal guardasigilli Andrea Orlando ai procuratori italiani (che prevede la tassativa esclusione dei virgolettati delle intercettazioni nelle ordinanze dei magistrati, sostituite “soltanto dal richiamo al loro contenuto”, cioè semplici riassunti) il quotidiano diretto da Mario Calabresi intervista direttamente il ministro della Giustizia. A Liana Milella Orlando spiega di essere pronto a modificare la bozza del ddl sulle intercettazioni di cui “non riconosce la paternità”, ma non dice una parola sui limiti all’uso dei trojan, programmi che permettono di entrare nei cellulari, grazie ai quali sono emersi nell’inchiesta Consip i rapporti tra Tiziano Renzi e Alfredo Romeo.

Se nel 2010 il quotidiano di Carlo De Benedetti era il capofila della protesta contro il bavaglio di Berlusconi, però, adesso l’atteggiamento è molto più sobrio: niente post-it gialli allegati ad ogni articolo di cronaca giudiziaria, nessuna chiamata alle armi del mondo della stampa ma semplice cronaca parlamentare. Non si occupa nemmeno di quella, invece, La Stampa di Maurizio Molinari, seguita a ruota dal Corriere della Sera, dal Messaggero, dal Giornale. Nel 2010 il quotidiano di via Solferino pubblicò un editoriale della sua giudiziarista di punta, Fiorenza Sarzanini, intitolato: “Una libertà che è di tutti“. A questo giro la Sarzanini è a Firenze a seguire la brutta storia dei carabinieri accusati di stupro dalle studentesse americane, titolo di apertura del Corriere, ma anche della Stampa: entrambi i quotidiani ignorano totalmente la questione intercettazioni. Paradossalmente, a dedicare ben una pagina alla bozza del ddl Orlando è un quotidiano economico, cioè Il Sole24Ore, che ci apre la sezione Norme&Tributi. Filippo Facci su Libero scrive del bavaglio nella sua rubrica, ma per festeggiare: “Addio intercettazioni, finalmente“, si titola il suo pezzo. Unico giornale a parte Repubblica a mettere in prima pagina alla bozza di riforma delle intercettazioni è La Verità, che alla questione dedica la prima, la seconda e la terza pagina. Attenzione, però, perché l’editoriale firmato dal direttore Maurizio Belpietro è tutt’altro che antibavaglio. Basta leggere il titolo: “Legge necessaria, in ritardo di 20 anni. Ma ora serve al Pd”.

Un capitolo a parte merita il Messaggero. Il quotidiano romano ignora la riforma Orlando ma intervista l’ex ministro degli Affari Regionali, Enrico Costa che nel frattempo ha lasciato Angelino Alfano per tornare in Forza Italia. Costa ha alle spalle un robusto curriculum anti intercettazioni: ai tempi di Berlusconi era il relatore della legge bavaglio, da viceministro della giustizia di Matteo Renzi è stato il primo firmatario della riforma della diffamazione a mezzo stampa. Insomma con qualsiasi governo è Costa è l’uomo giusto per mettere la mordacchia alla stampa. E infatti ieri aveva dettato alle agenzie la sua approvazione per il testo del governo. “È un’interessante base di discussione – aveva detto – sulla quale le Commissioni parlamentari potranno esprimersi. L’auspicio è che non intervengano repentini dietrofront“. Uno si aspetta: adesso il cronista del Messaggero gli chiede perché col bavaglio di Berlusconi (che poi era il suo) strillavano tutti, mentre adesso i posti sulle barricate sono quasi tutti vuoti. Sbagliato: nel giorno del bavaglio Pd, l’intervista a Costa – che di quel bavaglio è tifoso da anni – è sull’abuso d’ufficio.

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