Quando gli chiedi come si sente Matteo sorride, alza gli occhi e parla piano: “Magari non riesco più a mangiare in autonomia, ma so ancora parlare d’amore e mettere in circolo emozioni”. La sua non è proprio una vita spericolata, ma ci va molto vicino. Matteo Gamerro ha 38 anni, è torinese e vive in una casa immersa nella natura a Barone Canavese, comune di 597 abitanti nella provincia di Torino. Da 9 anni è su una sedia a rotelle, dopo aver scoperto di essere malato di sclerosi multipla. Ex atleta, oggi si è laureato, ha un lavoro, si è costruito un’abitazione per essere indipendente, e viaggia continuamente in giro per il mondo. “Il mio motto? Si può fare”, racconta.

“Era un mercoledì della primavera del 1999. Mi sono accorto che qualcosa non andava nel mio occhio sinistro”, ricorda. Il medico di turno al pronto soccorso gli prescrive un collirio. Ma per Matteo comincia il calvario. “Durante la degenza mi avevano dato il permesso di andare in facoltà per sostenere un esonero dell’esame di geometria. Ho fatto l’esame con una cannula nel braccio e la non fantastica prospettiva che, una volta terminato, non sarei rientrato a casa, ma in ospedale. Su 15 domande – sorride – ne ho azzeccata una”.

Ho avuto in dono solo questa vita, quindi non mi resta che viverla appieno e fino in fondo

Matteo ha imparato a convivere con la malattia, guardando avanti. Sorridendo. Scherzandoci su. Nel tempo la sua forza di volontà si è dimostrata straordinaria. “Sarà un cammino di passi avanti e altri indietro, ma questa è la mia strada e non mi resta che percorrerla – scrive sul suo blog – Ho avuto in dono solo questa vita, quindi non mi resta che viverla appieno e fino in fondo”.

Nel 2015 insieme al suo gruppo di amici e parenti Matteo si è lanciato nella pazza idea di raggiungere Santiago de Compostela in sedia a rotelle: 7 giorni di cammino, da O’ Cebreiro a Compostela, 160 chilometri in totale, con in media (oltre agli spostamenti ‘forzati’ in auto) 25 chilometri percorsi al giorno su una sedia a rotelle tutta speciale, chiamata Joelette, che “mi faceva sembrare un salame incordato, ma che si è dimostrata decisamente funzionale”. L’esperienza si è trasformata in un libro scritto a caldo da Matteo: Si può fare…in cadrega a Santiago de Compostela. “Non ho mai pensato di fare tutti i 900 chilometri del mitico percorso – spiega – ma poterne fare anche solo una parte era comunque una bella scommessa”.

Il mio obiettivo è far capire ai ragazzi che ciò che mi manca è la possibilità di scegliere anche ciò che non mi va

Dal 2014 Matteo è entrato nelle scuole del suo territorio, dove tiene ciclicamente incontri nei quali racconta ai ragazzi “la bellezza della vita”. Quando gli studenti gli chiedono cosa gli manca di più della vita precedente lui risponde con un sorriso: “Fare l’amore in piedi”. “È una battuta – spiega – Il mio obiettivo è far capire ai ragazzi che ciò che mi manca è la possibilità di scegliere anche ciò che non mi va”. L’ultima impresa è datata giugno 2016, quando il giovane torinese si è lanciato in una nuova avventura: percorrere parte della storica via Francigena, da Roma a Canterbury (con tappe in auto e 160 chilometri in carrozzina), in compagnia dei suoi angeli custodi: “Ho la possibilità di affrontare i viaggi solo grazie ai miei amici, che si trasformano – di fatto – nelle mie gambe”, sorride.

E non solo. Tre anni fa don Luigi Ciotti lo ha nominato “campione nella vita”: “Matteo testimonia l’amore e la passione per la vita – ha detto di lui il presidente di Libera – Preso atto della realtà, si è impegnato a trasformare l’avversità in opportunità. Matteo assapora la vita e fa tesoro di ogni suo attimo: un atteggiamento che spesso manca a chi, sano, rinvia sempre al domani il momento in cui cominciare a vivere davvero”.

In questi anni ho dimostrato a me stesso che tutto è possibile, se lo si vuole veramente

Il suo blog si chiama altezzaculo, “perché è l’altitudine da cui vedo il mondo”, scherza Matteo. “Sento che posso ancora essere utile alla società, posso ancora dare qualcosa a questo mondo”. E dopo la scuola tocca agli adulti: “Sono riuscito a convincere la mia azienda a organizzare qualcosa di simile con i miei colleghi. Vedremo il risultato”, spiega.

Matteo non ha mai pensato di trasferirsi all’estero. “In Italia tutto è migliorabile, anche l’assistenza sociale. Ma non mi lamento”. Dopo 9 anni in carrozzina, però, l’umore non sembra essere cambiato. Quando gli chiedi come si vede tra qualche tempo, la risposta è sempre la stessa. “Non meno rompiscatole di adesso”, dice. E dopo viaggi, imprese, arrampicate in montagna, parapendio in carrozzina, incontri nelle scuole di mezza Italia, c’è ancora tanto da fare. “In questi anni ho dimostrato a me stesso che tutto è possibile, se lo si vuole veramente. Sì – conclude – In fondo sono un ragazzo fortunato”.

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