“Casi come quello del processo sul Rapido 904 accadono ogni giorno in vari tribunali d’Italia e in procedimenti altrettanto importanti per cittadini e servitori dello Stato”. Eugenio Albamonte, presidente dell’Associazione nazionale magistrati, non è sorpreso dell’azzeramento del processo d’appello sulla strage di Natale che ha come unico imputato Salvatore Riina, già assolto in primo grado. Il motivo? L’imminente pensionamento del presidente della corte Salvatore Giardina, previsto per i primi di ottobre. Il 21 giugno scorso la corte doveva già emettere la sua sentenza ma dopo 3 ore di camera di consiglio aveva ordinato di riaprire il dibattimento per acquisire le testimonianze di sei boss, stabilendo persino il nuovo calendario delle udienze. Il 3 agosto, però, è entrata in vigore la riforma Orlando che abbassa l’età pensionabile delle toghe a 70 anni: alla prima udienza, utile, dunque, il giudice Giardina non ha potuto che ordinare un rinvio a una nuova corte visto che quella da lui presieduta non avrebbe potuto portare avanti l’istruttoria.

Una vicenda che per Albamonte mette in evidenza “un tema fondamentale che è quello legato al principio della continuità del giudice. Nella stessa riforma – dice il presidente dell’Anm – si sarebbe potuta prevedere l’ipotesi di non assegnare ex novo il procedimento ad un’altra corte. Nei casi in cui il tribunale non è monocratico si può sostituire solo l’elemento della corte che va in pensione: in questo modo il processo può continuare”.

C’è però un secondo aspetto che collega la decisione del giudice ai limiti della riforma Orlando. “Varando la riforma – spiega Albamonte – il governo precedente ha avuto un atteggiamento poco ponderato. L’Anm non ha criticato la scelta di abbassare l’età pensionabile, ma ha chiesto di operare questa scelta con gradualità. Se io, giudice, che ho 69 anni mi sono preso l’impegno di portare a sentenza quel determinato processo l’ho fatto perché in quel momento la legge mi permetteva di andare in pensione a 72 anni”. Per provare a mettere una pezza alla situazione il governo aveva varato una proroga che però spostava in avanti l’obbligo della pensione soltanto per i magistrati in posizioni apicali della Cassazione, del Consiglio di Stato, della Corte dei Conti, dell’Avvocatura dello Stato. Una mossa che aveva surriscaldato i rapporti tra il sindacato delle toghe e l’esecutivo. “Quella proroga – dice Albamonte –  si poteva fare in maniera omogenea rispettando la Costituzione, ma ormai ha poco senso discuterne: ulteriori proroghe avrebbero l’effetto di confondere ulteriormente la situazione. Nel frattempo chissà quanti processi dovranno ricominciare da capo perché il giudice va in pensione. Poi a fine anno si tirano le somme e non si capisce perché i tempi per arrivare a sentenza si sono allungati. Per questo motivo noi chiediamo un regime transitorio”.

Prova a ipotizzare un modo per risolvere la situazione, anche il presidente del Senato, Pietro Grasso.  “Era prevedibile quanto accaduto a Firenze- dice l’ex procuratore nazionale antimafia – perché non c’è stata la proroga richiesta dalla magistratura sull’età pensionabile, però, se le parti sono d’accordo si può cercare di minimizzare il danno, prendendo atto delle cose che già sono state fatte”.  “Dal punto di vista delle famiglie c’è grande sconforto perché dopo tanti anni non si è ancora arrivati a nulla, ma si tratta di una legge dello Stato, c’è poco da fare.  Purtroppo c’è stata questa doppia coincidenza la legge entrata in vigore il 3 agosto e il pensionamento del presidente della Corte. C’è poco da fare”, dice invece l’avvocato Danilo Ammannato, legale di parte civile nel processo.

Più amare, invece, le parole dei familiari delle vittime della strage, in cui il 23 dicembre del 1984 morirono 16 passeggeri. “Per noi è stata una doccia fredda, siamo sconcertati, stupiti e sconvolti. Non è bello sentirsi dire dopo 33 anni: avete aspettato tanto, ormai un mese più o un mese meno che vi cambia…’. Ce l’hanno detto durante l’udienza. Ricominciare da capo è veramente una cosa avvilente. Il problema è stata la nuova riforma Orlando, con il cambiamento nell’articolo 603 del codice penale. Si è creato un problema tecnico che per noi diventa una questione personale”, dice Rosaria Manzo, presidente dell’Associazione strage treno 904, ai microfoni di Radio Cusano Campus. Il riferimento è per la parte della riforma che riapre il dibattimento quando il pm fa ricorso contro un’assoluzione per motivi legati alla valutazione della prova dichiarativa.  “La necessità di rinnovare il dibattimento in caso di appello del pm contro una sentenza fondata su prove testimoniali – replica quindi il ministero della Giustizia – discende da una consolidata giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, ampiamente recepita dalla Corte di Cassazione già prima della modifica legislativa dello scorso luglio, che ha semplicemente adeguato la formulazione della norma. Non vi è stato perciò alcun imprevedibile rallentamento del processo a seguito dell’entrata in vigore della recente riforma”. In realtà, però, il giudice della corte d’Appello di Firenze ha rinviato il procedimento perché va in pensione il mese prossimo: in caso contrario avrebbe comunque potuto condurre il processo fino a sentenza definitiva.

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