Un programma di reinsediamento in Europa dei rifugiati considerati maggiormente vulnerabili, ma con dei paletti. È questa, anticipa a Ilfattoquotidiano.it l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr), la proposta in discussione dopo il vertice di Parigi sulle migrazioni al quale hanno preso parte i primi ministri o capi di Stato di Italia, Germania, Spagna, Francia, Libia, Niger e Ciad. Nessun corridoio umanitario, quindi, per coloro che hanno diritto alla protezione internazionale dopo la valutazione nei paesi di transito, bensì una quota ancora da stabilire di persone o nuclei familiari più vulnerabili che potranno così iniziare una nuova vita in Europa, accedendovi con mezzi legali.

Unhcr: “Chiesti 40mila posti in più, ma i bisognosi sono 380mila”
A elencare i numeri del piano, anche se ancora provvisori, è l’Unhcr: “La nostra agenzia – spiega Barbara Molinario a Ilfattoquotidiano.it – svolgerà le operazioni di selezione e reinsediamento per le aree del Nord Africa, Africa occidentale, orientale e Corno d’Africa. Secondo le stime, sono 380mila le persone provenienti da questa macroregione che dovrebbero accedere al programma di resettlement. Noi abbiamo chiesto ai governi europei la possibilità di aumentare di 40mila unità il numero di coloro che potranno accedere al programma di ricollocamento (nei primi sei mesi del 2017, secondo i dati dell’Unhcr, sono state ricollocate circa 38mila persone a livello mondiale, ndr ). Ora, dobbiamo attendere una loro risposta. Certo, se si guardano i numeri si capisce che il problema non verrà risolto. La nostra intenzione, ci tengo a dirlo, è quella di creare per il maggior numero di persone possibile un canale alternativo a quello illegale”.

L’Alto Commissariato per i Rifugiati avrebbe il compito di gestire, secondo gli intenti dei leader presenti al vertice di Parigi, i nuovi centri di identificazione che dovrebbero essere costruiti nei Paesi di transito. Così, i migranti potranno avere accesso alla domanda d’asilo senza dover affrontare il lungo viaggio nel Sahara e la traversata del Mediterraneo. Un modo per controllare maggiormente i flussi, spiegano i governanti, e contrastare il traffico di esseri umani.

“Al programma di ricollocamento – continua Molinario – avranno accesso tutti coloro ai quali sarà riconosciuto lo status di rifugiato e che, inoltre, occuperanno le posizioni più alte in una graduatoria stilata da Unhcr e basata sulla vulnerabilità. Questa lista terrà conto di tantissimi fattori: dalla storia pregressa dei soggetti e dei nuclei familiari alle possibili conseguenze di un rifiuto, oltre alle caratteristiche personali del richiedente asilo”. Secondo il piano, quindi, non tutti coloro che avrebbero diritto alla protezione internazionale rientreranno nel programma di ricollocamento. Anzi, la maggior parte ne rimarrà esclusa, continuando a rappresentare un target lucrativo per i trafficanti di uomini: “Ci saranno dei rifugiati che non rientreranno nel programma di reinsediamento in Europa – dice Molinario – Per questi sarà trovata una sistemazione in attesa di nuovi posti. Non ci è stato ancora specificato dove, probabilmente in campi profughi, in nuovi centri che saranno costruiti o anche nelle aree urbane. Chi, invece, non otterrà lo status di rifugiato potrà usufruire del rimpatrio assistito con l’aiuto dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Oim)”.

Di Giacomo (Oim): “Gli hotospot libici non rispettano standard minimi”
Proprio sui nuovi centri o hotspot proposti dalla Francia arrivano le perplessità di Flavio di Giacomo, portavoce dell’Oim che quelle strutture dovrà gestirle insieme all’Unhcr: “Dal punto di vista pratico – dice a Ilfattoquotidiano.it – non mi sembra che questo vertice abbia portato grandi novità, se non la volontà generica di costruire dei centri d’identificazione in Libia e in Niger. Se poi vogliamo parlare dei nuovi hotspot in Libia, dico che non ci sono, al momento, le premesse per costruirli. Noi come Oim abbiamo al momento accesso a 20 dei 34 centri governativi libici, presumo quelli in condizioni migliori, e vi assicuro che non rispettano gli standard minimi per garantire un trattamento umano a queste persone. Inoltre, Oim lavora in Libia e sarebbe felice di poter collaborare con i governi per migliorare la situazione dei centri in loco e costruirne di nuovi, ma la mia domanda è: dove sono le garanzie politiche e di sicurezza minime, in un Paese completamente instabile e senza un vero governo riconosciuto?”.

Torelli: “Legalizzare gli arrivi? No, i governi puntano a esternalizzare i confini e creare un blocco”
Nonostante le dichiarazioni del Presidente francese, Emmanuel Macron, che ha annunciato la nascita di “una squadra che tradurrà in atti le parole”, anche Stefano Torelli, ricercatore dell’Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale”, nutre forti dubbi sull’effettiva efficacia delle proposte uscite dal vertice di Parigi. “Quando dicono che vogliono legalizzare i flussi, i governi mentono – sostiene – Lo dicono i numeri: nel 2016 ci sono state un milione e 200 mila domande d’asilo in Europa, l’Unhcr stima che nella sola Africa subsahariana e Nord Africa ci siano 380mila persone bisognose di accedere ai programmi di ricollocamento e qui, invece, si discute su un aumento, forse, di 40mila posti? Ma si ricordano che i piani di ricollocamento in Unione Europea hanno già fallito?”. Secondo il programma di redistribuzione dei migranti presentato dall’Unione Europea nel 2015, 160mila persone tra quelle sbarcate in Italia e Grecia avrebbero dovuto ricevere accoglienza nei vari Paesi europei entro settembre 2017. La quota raggiunta, però, non tocca le 30 mila unità. “Il piano dell’Europa è quello di esternalizzare i confini: lo hanno fatto in Turchia e lo vogliono fare adesso nel Sahel. La volontà di creare flussi legali è uno specchietto per le allodole: hotspot e centri d’identificazione in Libia o Niger ci dicono che la strategia europea è quella di creare un blocco, anche se i governanti non lo ammettono”.

Twitter: @GianniRosini

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