Arriva finalmente l’acquazzone su Roma e la sensazione è quella di una purificazione dopo la lunga estate torrida, la più calda di sempre. Un’acqua che possa portarsi via, oltre alla siccità, anche le ferite profondissime che la città ormai porta evidenti sulla sua pelle. Una Capitale violentata, abbandonata, stuprata da decenni di noncuranza e malaffare che mostra esausta la sua sconfitta senza nemmeno più la forza di coprire le sue cicatrici.

Sotto l’erba infestante tagliata dopo mesi sulla Colombo, appaiono migliaia di pezzi di plastica, barattoli, cartacce, che prima erano nascosti, e restano lì, spostati dalle folate di vento, e dal passaggio delle macchine che zigzagano evitando le voragini nell’asfalto. Il  Tevere è in secca e lascia affiorare carcasse di lamiere, antiche fondamenta romane, creando zone asciutte sulle quali restano adagiate bottigliette, forchette e piatti di plastica buttate dai frequentatori di quella sorta di tendopoli del cibo che occupa come sempre d’estate il lato della ciclabile e che è tutto ciò che rimane dei fasti di quella “estate romana” che la mia generazione ricorda con malinconia.

Tutto il lungofiume è ormai devastato da scritte che si sovrappongono, dai colori violenti. L‘odore di urina ti entra nel naso a folate, violento, profondo. I battelli malridotti che mostrano le bellezze del centro storico dall’acqua, passano di tanto in tanto, semivuoti, con la voce della guida turistica registrata che descrive i monumenti in italiano, solo inutilmente in italiano. Le luci fredde dei negozietti di bigiotteria cinesi che circondano le nostre piazze storiche ne graffiano la bellezza. Camerieri di ristoranti per turisti ti assalgono offrendoti pizze di gomma e pasta scotta, condite con tavolini e sedie rigorosamente in plastica.

Anche via dei Coronari, la via storica degli antiquari, che attirava gente da tutto il mondo alla ricerca di pezzi unici, trasformata in una qualunque via commerciale, dove tra i negozianti superstiti di quella tradizione, ora brillano rivenditori di scarpe a prezzi stracciati, ottici tutti uguali, piccoli bar o gelaterie con insegne fluorescenti, spizzicherie, lasagnerie, dalle quali spesso fuoriescono musichette pop dai suoni tutti uguali, con vocette modificate elettronicamente che cancellano il silenzio che regnava nei vicoli circostanti.

E mi ritrovo a guardare il cielo finalmente gonfio di pioggia, nella speranza vana che un acquazzone biblico possa portarsi via tutto questo e restituirmi una Roma meravigliosa che inizia a confondersi nei ricordi e della quale sento sempre più la mancanza.

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