C’è chi è accusato di essersi messo al polso un Rolex in cambio di un emendamento taglia Iva, ma anche chi è stato riconosciuto colpevole di aver ottenuto lavori gratuiti nella sua villa in cambio di finanziamenti pubblici. C’è chi non ha nessuna accusa ma in gioventù è finito addirittura immortalato in una fotografia con Matteo Messina Denaro e chi invece è diventato suo malgrado il simbolo del sistema che gestiva il centro per richiedenti asilo più grande d’Europa: il Cara di Mineo. Eccoli qui gli Alfaniani di Sicilia, gli uomini d’oro contesi da destra e sinistra che alla fine appoggeranno la candidatura a governatore dell’isola di Fabrizio Micari. L’ufficialità, come spesso capita nelle cose di Sicilia, tarda ad arrivare ma i bene informati giurano: Angelino Alfano sosterrà il rettore di Palermo senza se e senza ma. Secondo gli ultimi rumors il ministro degli Esteri ha chiesto ai dem di potere indicare un suo uomo come candidato alla vicepresidenza dell’isola che gli ha dato i natali. Una richiesta che dal Nazareno non fanno fatica a concedere: l’obiettivo è tenersi vicino Alfano e i suoi in vista delle elezioni del prossimo 5 novembre. E magari anche dopo, per le politiche del 2018. Si vedrà.

Gli uomini d’oro – Intanto tra Alternativa popolare e il Partito democratico è riscoppiata la pace. E dire che solo all’inizio dell’estate Matteo Renzi e il suo ex ministro dell’Interno non se le mandavano certo a dire. “Considero conclusa la nostra collaborazione con il Pd”, sentenziava Alfano quando dal Nazareno non sembravano intenzionati a cedere sulla soglia di sbarramento della nuova legge elettorale (peraltro nel frattempo mai nata). Problemi superati, evidentemente, visto che ormai l’accordo tra Renzi e l’ex delfino di Silvio Berlusconi per correre insieme alle regionali di Sicilia sembra cosa fatta. Ma chi sono gli uomini del numero uno della Farnesina? Che sembianze hanno gli Alfaniani di Sicilia, corteggiati in questi mesi dagli ex sodali di Forza Italia e alla fine concupiti dallo stato maggiore dem? E poi: cosa portano in dote di tanto prezioso, se il Pd pur di accaparrarsene il sostegno ha preferito lasciare ai margini gli ex compagni di Mdp e di Sinistra Italiana?

Giuseppe Castiglione

Castiglione, pistacchi e voti – Di sicuro si portano dietro una lista di indagini, inchieste e addirittura condanne non indifferente. Caratteristica che a onor del vero è molto diffusa nei ranghi di Ap. In Sicilia, però, gli Alfaniani sono titolari di una caratteristica molto rara dalle parti del ministro degli Esteri: i voti. Sissignore: mentre nel resto d’Italia il minuscolo partito di Alfano colleziona percentuali risibili, in Sicilia i suoi uomini sono considerati da sempre ras delle preferenze. Non si può certo dire il contrario di uno come Giuseppe Castiglione, genero ed erede del potentissimo Pino Ferrarello, ex senatore berlusconiano, già prescritto per una storia di tangenti dieci anni fa. Originario di Bronte, la città dei pistacchi e del massacro del garibaldino Nino Bixio, in passato Castiglione è riuscito a farsi eleggere al consiglio regionale con quasi 20 mila preferenze: un record. Oggi, invece, il sottosegretario all’Agricoltura è l’uomo che incarna i successi di Alfano sull’isola. Per la precisione a Est dell’isola e cioè a Mineo, la città in provincia di Catania nota soprattutto perché dal 2011 ospita l’omonimo centro per richiedenti asilo. I sondaggi danno il partito di Alfano tra il 3 e il 4% praticamente ovunque? Nessun problema: a Mineo, infatti, l’ex ministro è stato capace di prendere addirittura il 40% dei voti. Il motivo di questo inedito successo lo spiegano i magistrati della procura di Catania nella richiesta di rinvio a giudizio per il luogotenente di Alfano e altre 17 persone, accusate di turbativa d’asta e corruzione elettorale.

Mineo, voti e tessere per Ncd – Si tratta della costola siciliana dell’inchiesta su Mafia capitale nata dalle dichiarazione di Luca Odevaine che ha fatto luce sulla gara d’appalto da 100 milioni per gestiste il centro d’accoglienza. Il sistema, per i pm, era semplice: a Mineo andava in scena “una spregiudicata gestione dei posti di lavoro (circa 400) per l’illecita acquisizione di consenso elettorale”. Tradotto: voti in cambio di posti di lavoro. E addirittura ai dipendenti del Cara veniva chiesto  di prendere la tessera del Nuovo centrodestra.  “Non si tratta di una imposizione – ha spiegato ai pm una lavoratrice del centro–  anche se quasi tutti i dipendenti del Cara sono effettivamente iscritti a Ncd: io stessa lo sono”.  È in questo modo che il centro per richiedenti asilo è diventato una gigantesca macchina elettorale capace di garantire preferenze a vari partiti: alle politiche del 2013 – quando Alfano era ancora il golden boy di Berlusconi – i voti della zona vanno al Pdl, alle amministrative dello stesso anno a una lista civica alfaniana (che elegge sindaco Anna Aloisi, anche lei indagata), mentre alle europee del 2014 vengono indirizzati verso la neonato partito del ministro agrigentino.

Angelino Alfano

L’uomo di Bronte ha detto Pd – Le europee del 2014 sono lo stesso turno elettorale in cui Giovanni La Via sbarca a Bruxelles come primo degli eletti: prende 56mila preferenze, 10mila in più rispetto a Maurizio Lupi, che all’epoca era ancora ministro. Quell’elezione, in pratica, è una vera e propria prova di forza di Castiglione. E infatti se oggi Lupi è il leader degli Alfaniani che non vogliono l’alleanza col Pd (nel 2018 si vota alle regionali in Lombardia dove Ap governa con la Lega), Castiglione al contrario è l’uomo del dialogo con i dem: linea che fino a questo momento viene preferita da Angelino. E non è un caso, quindi, se l’uomo di Bronte potrebbe anche ottenere l’incarico di candidato alla vicepresidenza della Sicilia per il fidato La Via. Sul fronte giudiziario, Castiglione ha chiesto e ottenuto il giudizio immediato nel processo per il Cara di Mineo dove si professa da sempre innocente. Nel frattempo è riuscito a rimanere ben saldo sulla sua poltrona di sottosegretario, al contrario dello stesso Lupi, defenestrato pure senza essere iscritto nel registro degli indagati nell’inchiesta sulle Grandi Opere.

Vicari, rolex e traghetti–  Si è dovuta dimettere da sottosegretario, invece, Simona Vicari, altra alfaniana di ferro indagata per corruzione nell’inchiesta sulle tangenti per il trasporto marittimo: è accusata di aver intascato un Rolex (poi restituito dopo l’indagine) dall’armatore Ettore Morace, arrestato insieme all’ex sindaco di Trapani Girolamo Fazio. In cambio la senatrice avrebbe fatto inserire nella legge di Bilancio un emendamento per tagliare dal 10 al 5 % l’Iva prevista per i servizi di trasporto marittimo urbano, fluviale e lagunare: in pratica quella norma dimezza l’aliquota agli armatori come Morace. “Il fratello della senatrice Manfredi Asta è stato assunto nel mese di giugno del 2016 presso Liberty Lines”, scrive il giudice per le indagini preliminari nelle 313 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare di quell’inchiesta, ricordando poi che “il 17 ottobre del 2016 a Taormina vi è stato un incontro tra Ettore Morace e Simona Vicari finalizzato a bloccare la nomina di Giuseppe Prestigiacomo quale consulente della commissione dell’Assemblea regionale siciliana in materia di trasporti marittimi”. Insomma ce n’è abbastanza perché il giudice consideri i rapporti tra l’esponente di Ap e l’armatore “connotati da una sospetta vischiosità“.

Simona Vicari

Cascio: ville, preferenze e formaggi  È accusato di aver favorito due imprenditori che avevano chiesto un finanziamento europeo da sei milioni di euroFrancesco Cascio, ex presidente dell’Assemblea regionale siciliana e altro alfaniano a 48 carati. Quei soldi furono utilizzati per realizzare un resort con campo da golf sulle Madonie. In cambio avrebbe ottenuto la sistemazione gratuita della sua villetta a Collesano, proprio nei pressi della lussuosa struttura turistica costruita grazie al denaro ottenuto da BruxellesAccuse riscontrate dal gup di Palermo che nell’ottobre scorso ha condannato il politico a 2 anni e 8 mesi di carcere. Quella sentenza ha fatto scattare la sospensione di Cascio dal consiglio regionale siciliano ma non ha scalfito il suo rapporto con Alfano: subito dopo la condanna, il ministro ci ha tenuto a chiamarlo per ribadirgli “amicizia, stima e fiducia”. D’altra parte anche se non potrà candidarsi alle prossime regionali (la legge Severino lo ha sospeso per 18 mesi) come rinunciare alle 12.395 preferenze che l’ex presidente dell’Ars ha preso alle elezioni del 2012? Voti conquistati anche in cambio di “formaggi, latte, uova e pacchi spesa”. Almeno secondo la procura generale di Palermo che ha avocato un’inchiesta per corruzione elettorale sulla quale pendeva la richiesta d’archiviazione del pm ordinario. A gennaio, dunque, Cascio potrà difendersi dalle accuse davanti al giudice monocratico. Insieme a lui sul banco degli imputati anche un altro alfaniano di peso accusato dello stessi reato: il senatore Marcello Gualdani.

Francesco Cascio

Lo Sciuto e quella foto col boss  – È ancora saldamente in carica senza alcuna indagine giudiziaria in corso, invece, Giovanni Lo Sciuto, consigliere regionale di Castelvetrano finito più volte tra le polemiche per i suoi vecchi rapporti di conoscenza con Matteo Messina Denaro. I due sono persino ritratti insieme in una fotografia – mostrata da Sandro Ruotolo – scattata al matrimonio della cugina del superlatitante. “All’epoca dei fatti, la famiglia Messina Denaro non aveva, per quelle che erano le mie conoscenze di ragazzino, problemi con la giustizia e, non avendo io il dono della chiaroveggenza, non potevo prevedere quello che sarebbe successo dopo la fine degli anni 80”, si è giustificato Lo Sciuto con Fanpage.it. Quella vecchia conoscenza con il boss di Cosa nostra, d’altra parte, non ha mai avuto conseguenze sulla sua carriera politica che nel 2012 ha raggiunto il livello più alto con l’elezione nella commissione antimafia dell’Assemblea regionale siciliana. L’uomo giusto al posto giusto.

Quelli delusi che guardano a destra – Sono dati tra gli “Alfaniani delusi”, invece Bruno Mancuso e Nino D’Asero. Il primo è un senatore della provincia di Messina attualmente sotto processo davanti al tribunale di Patti per reati ambientali: l’inchiesta è quella sul depuratore di Sant’Agata Militello, comune di cui è stato sindaco. Il secondo è il capogruppo di Ap all’Assemblea regionale siciliana: il suo nome era finito sui giornali alcuni mesi fa perché avrebbe ottenuto la chiusura di procedure di pignoramento presso terzi nonostante avesse ancora dei debiti con Riscossione Sicilia, la società che sull’isola svolge i compiti di Equitalia. “Non ho mai ricevuto nessuna istanza di pignoramento e quindi non avrei potuto beneficiare di alcun favore”, si è difeso il diretto interessato che d’altra parte non risulta indagato dalla procura di Catania. Entrambi sarebbero tra quelli che non vedono di buon occhio il sostegno a Micari e l’alleanza col Pd ma preferirebbero andare con Nello Musumeci e il centrodestra. Una defezione che per il ministro sarebbe pesante: sia Mancuso che D’Asero sono titolari di una discreta popolarità in termini di preferenze nei rispettivi territori. C’è da scommettere che Alfano e il Pd non se li faranno sfuggire tanto facilmente.

Twitter: @pipitone87

Articolo Precedente

Migranti, Minniti: “Ho temuto per la tenuta democratica del Paese. Il flusso andava governato, lo abbiamo fatto”

next
Articolo Successivo

Stupri, crimini e cavallette: alla fine è sempre colpa della Boldrini

next