Mentre l’Europa e molti paesi occidentali sono alle prese con l’invecchiamento demografico, la popolazione mondiale continua a crescere. Il tema non è certo nuovo, ma va affrontato nell’ambito di politiche di sviluppo basate sulla crescita economica.

di Enrico Di Pasquale, Andrea Stuppini e Chiara Tronchin (Fonte: lavoce.info)

Le tappe del dibattito

L’interesse dell’opinione pubblica e degli organismi internazionali per le questioni demografiche non è recente. Produsse un primo risultato tangibile nel lontano 1962, con la decisione delle Nazioni unite di fornire aiuti ai paesi in via di sviluppo desiderosi di attivare politiche denataliste. Nel 1972 fu pubblicato il rapporto I limiti dello sviluppo commissionato dal Club di Roma al Mit di Boston, che esprimeva grande preoccupazione per la futura crescita demografica mondiale in rapporto alle risorse alimentari e alle dinamiche ambientali.

Nel 1974, proclamato dall’Onu “Anno della popolazione del mondo”, fu convocata a Bucarest la prima conferenza mondiale sul tema, che vide uno scontro tra i paesi industrializzati e quelli in via di sviluppo, che mal tolleravano politiche demografiche restrittive: al contrario, sostenevano che fosse proprio la dipendenza economico-politica a causare l’eccessivo aumento della popolazione. La conferenza si concluse comunque con una raccomandazione ai paesi più prolifici di diminuire la natalità, almeno di un 5-10 per cento entro un decennio.

Nel 1979 la Cina introdusse per la prima volta la politica del figlio unico, che è durata ininterrottamente per 35 anni, fino al 2014, e che ha contribuito fortemente a rallentare la crescita demografica del paese più popoloso del mondo, pur con una serie di effetti collaterali.

La seconda conferenza dell’Onu (Città del Messico, 1984) fu convocata proprio su pressione dei paesi in via di sviluppo che intendevano affrontare non solo le questioni demografiche in senso stretto, ma anche una serie di problemi sociali (come povertà, crescita indiscriminata, profughi e condizione femminile). Lo sviluppo sociale e l’emancipazione femminile vennero riconosciuti come fattori decisivi nella lotta per il contenimento del tasso di natalità.

La terza conferenza (Il Cairo, 1994) continuò a perorare un rafforzamento del ruolo della donna, ma manifestò posizioni più controverse e per alcuni aspetti inconciliabili sul tema dell’interruzione di gravidanza. Un anno dopo, nel 1995, a Pechino fu convocata una conferenza mondiale specificamente dedicata alla questione femminile.

Popolazione e sviluppo

Nel frattempo, la popolazione mondiale ha continuato a crescere: le previsioni Onu più recenti parlano di 8 miliardi nel 2023 e di quasi 10 miliardi nel 2050. Metà della crescita prevista tra oggi e il 2050 si avrà in Africa, il continente con i maggiori tassi di fertilità e il più basso utilizzo di mezzi di contraccezione, spesso limitati da influenze religiose, tradizioni locali e posizioni ideologiche che ostacolano le politiche di controllo delle nascite.

La popolazione di 26 paesi africani dovrebbe come minimo raddoppiare di qui al 2050. Alcuni esperti temono che il boom demografico africano non solo aggraverà l’attuale flusso migratorio verso l’Europa, ma potrebbe giocare un ruolo nell’attivismo dei gruppi terroristi islamici nella regione del Sahel, che cercano reclute tra i giovanissimi delle famiglie numerose.

Ad aggravare la situazione è arrivata la decisione dell’amministrazione Trump di tagliare i fondi alle Ong che includono gli aborti nelle loro attività. La scelta non è una novità per le amministrazioni repubblicane, ma indebolisce il ruolo del paese finora più impegnato con circa 600 milioni di dollari l’anno di donazioni.

Tra i sostenitori delle politiche di controllo delle nascite rimangono ora prevalentemente l’Unfpa (Fondo Onu per la popolazione), alcuni paesi anglosassoni (Regno Unito, Canada, paesi scandinavi) e istituzioni private come la Fondazione Bill e Melinda Gates.

Una conferenza svoltasi a Londra il 10 e 11 luglio scorsi ha lanciato un allarme significativo: il programma di otto anni (lanciato cinque anni fa) per raggiungere 120 milioni di donne e ragazze entro il 2020 in 69 dei paesi più poveri del mondo, per ora ha coinvolto appena 30 milioni di beneficiari, circa 20 milioni in meno di quanto atteso. L’Unfpa sta già fronteggiando la mancanza di 700 milioni di dollari per contraccettivi, nei prossimi tre anni. Secondo il Guttmacher Institute di New York, il costo per raggiungere i bisogni di tutte le donne che necessitano di moderni metodi contraccettivi nei paesi poveri sarebbe di 1,75 dollari per persona all’anno e produrrebbe un declino del 75 per cento annuo di gravidanze involontarie, di nascite non pianificate e di aborti.

Così, mentre l’Europa fronteggia il problema dell’invecchiamento demografico, alcuni paesi del Sud del mondo continuano a registrare tassi di crescita demografica impressionanti. Nel (confuso e inconcludente) dibattito europeo sulle migrazioni, in cui spesso vengono citati gli aiuti allo sviluppo come strumento per rallentare i flussi, il tema del controllo delle nascite non viene quasi mai citato, nemmeno per ribadire la consapevolezza della difficoltà degli obiettivi da raggiungere.

Lotta alla povertà, cooperazione internazionale e controllo delle nascite vanno invece considerati come aspetti strettamente connessi. E i prossimi decenni saranno decisivi: difficile immaginare politiche di sviluppo e di lotta alla povertà efficaci senza attente (e organiche) politiche di controllo delle nascite.

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