Cose che non ti aspetti, come quella di ritrovarti a chiacchierare d’opera e melodramma con uno dei tenori italiani che più di tanti altri sta facendosi conoscere sui palcoscenici internazionali: Leonardo Caimi. E siccome all’origine di ogni cosa vi è il respiro, anche la nostra chiacchierata parte dalla constatazione che un’educazione alla respirazione “potrebbe dare risposta a problematiche e malattie oggi considerate croniche”, come afferma Caimi: “Sarebbe interessante educare alla respirazione fin dal momento in cui ci mettiamo in piedi”. E se il respiro biologico è fondamentale, quello che dovrebbe animare il mondo operistico, ma che pare latitare da diverso tempo, potrebbe esserlo altrettanto.

“Oggi purtroppo la profondità manca un po’ in ogni ambito, si resta in superficie e non si va in profondità, si cerca l’ampiezza e non la prospettiva, non si guarda al futuro perché non si ha neanche il coraggio di girarsi indietro e guardare al passato” commenta Caimi, che subito dopo rincara la dose: “Per quanto riguarda il mondo dell’opera in Italia spero di poter dire che abbiamo toccato il fondo, sia da un punto di vista qualitativo che gestionale: le due cose purtroppo sono interconnesse”. Da assiduo frequentatore dei palcoscenici d’oltralpe, Caimi conosce bene, suo malgrado, le critiche che vengono spesso rivolte agli italiani e alla loro mancanza d’organizzazione che, come sottolinea il tenore, “è l’altra faccia della medaglia della creatività: quella capacità che ti consente di risolvere tutto anche anche all’ultimo momento.

Siamo vincenti, perché pur disorganizzati siamo capaci poi di vincere. Però le cose devono comunque funzionare in un certo modo: gli artisti devono essere pagati, non è possibile dover andare a lavorare all’estero per avere i soldi per lavorare in Italia”. Una diretta conseguenza, quest’ultima circostanza appena descritta, dell’eccessiva esterofilia italiana a cui, in alcuni casi, fa da contraltare una certa italofilia estera: “Per quanto riguarda la mia storia personale – commenta Caimi – ho ricevuto più riconoscimenti all’estero. E sono in buona compagnia, perché artisti molto più grandi di me in passato hanno avuto lo stesso problema”.

La conversazione col tenore calabrese scende sempre più nel dettaglio della sua diretta esperienza personale, campo sul quale cerco in tutti i modi di trascinarlo chiedendogli, innanzitutto, chi sia stato il direttore col quale ha maturato la migliore delle esperienze possibili: “Devo dire – confessa Caimi – di avere avuto la fortuna di lavorare con Lorin Maazel, un direttore d’orchestra che non dimenticherò mai. Io vinsi il terzo premio al concorso Voci Verdiane di Busseto, e lui, insieme agli altri due vincitori, ci portò a fare un tour in Giappone. Fu un’esperienza molto formativa: cominciavo la carriera da appena due anni e fu quindi un incontro molto importante”.

Da allora Caimi di strada ne ha fatta tanta, divenendo nel frattempo presenza fissa al Festival di Torre del Lago e avendo in programma, il mese di ottobre prossimo, il gran debutto al Teatro Real di Madrid: “Di Puccini ho interpretato quasi tutto, mi mancano veramente due spartiti, ma Ruggero – da La Rondine, ultima sua interpretazione a Torre del Lago, ndr – è un ruolo complicatissimo, di grande difficoltà tecnica e di poca soddisfazione: si mostra poco, non ha una grande aria famosa e nulla che lo possa adeguatamente valorizzare. È un ruolo, di solito, da non fare, un ruolo in cui si mostra facilmente il fianco.

A Madrid invece debutto con Don José della Carmen di Bizet, che è uno dei miei ruoli di punta, un ruolo che amo moltissimo: credo sia il ruolo, insieme a Cavaradossi (Tosca, NdR), col quale debutterei in qualsiasi teatro. È un ruolo molto difficile perché è come se ci volessero due tenori: uno per i primi due atti e uno per gli ultimi due. Prima è un tenore lirico pieno e poi diventa un tenore spinto con accento anche drammatico. Don José è un ruolo impegnativissimo da un punto di vista attoriale, ed è uno dei personaggi con maggiore evoluzione psicologica all’interno dell’opera: comincia dal più o meno bravo ragazzo di famiglia con fidanzatina e finisce per commettere un omicidio”.

Di opera non si finirebbe di parlare mai, ma il tempo non è eterno e arriva sempre il momento di tirare le somme e di capire cosa, per aprirsi a un pubblico più ampio e giovane, manchi in Italia ai teatri d’opera: “Se non c’è la scuola – commenta Caimi – e il giusto peso da dare all’Opera e al teatro in televisione, allora i giovani non sanno di cosa si parla. Quando abbiamo fatto i progetti per le scuole, i ragazzi erano entusiasti e i teatri pieni: quando c’è la volontà raggiungere il risultato è molto facile, perché il teatro è connaturato all’essenza stessa dell’essere umano”. Gravi mancanze a cui se ne affiancano di altrettanto gravi quando si volge lo sguardo al giornalismo musicale nostrano, un argomento tanto spinoso da meritare una considerazione più che puntuale: “In Italia manca la critica: non c’è più la professionalità di settore. Noi artisti non siamo tali perché ci si sveglia una mattina e si decide di diventarlo: la maggior parte di noi ha un diploma di Stato, sostiene audizioni pubbliche, firma contratti con la Repubblica italiana e può essere protestato fino a pochi giorni prima dalla messinscena. Dall’altra parte da chi si viene giudicati?”. Già, da chi?

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