Pierfrancesco Madeo soffre di distrofia muscolare. Il 16 agosto ha rischiato di morire. Il fumo aveva intasato il suo respiratore artificiale. È di Longobucco, un paese rintanato in una vallata della Sila Greca, in provincia di Cosenza. “Quel giorno è stato il più terribile dell’estate”, racconta. Ma non è il solo ad avere visto l’inferno. Qui gli abitanti pensano già alle prossime piogge. Ancora oggi ricordano con un certo spavento l’alluvione del 2009 quando, dopo anni di disboscamento selvaggio, hanno rischiato di essere inghiottiti dalle stesse montagne che per secoli li hanno protetti.  Negli ultimi 3 anni gli incendi in Calabria hanno registrato un’escalation non più sostenibile. Quest’anno si è raggiunto il picco più alto, almeno il doppio rispetto all’anno scorso. La provincia più colpita è quella di Cosenza con quasi seimila roghi e una superficie andata in fumo di migliaia e migliaia di ettari di quella che gli antichi Romani chiamavano Silva Brutia.

Carlo Tansi, capo della protezione civile della regione, non ha peli sulla lingua quando denuncia questo scempio. E parla di “attacchi criminali ben organizzati”, guarda caso posizionati lungo il perimetro che “porta alle centrali a biomasse più vicine”. Ad Acri, sempre in provincia di Cosenza, il fuoco ha lambito più volte le mura cittadine. Hanno evacuato l’oasi canina e chiuso la strada statale quando le fiamme e il fumo hanno messo in pericolo anche la viabilità. Domenico Bevacqua, consigliere del Pd e presidente della Commissione Ambiente della Regione Calabria, natio di Longobucco, si augura una maggiore prevenzione da parte delle istituzioni e una partecipazione popolare più “forte”. E si impegna a fare del suo meglio, ma nelle sedi “opportune”. Come sembrano lontani gli anni cinquanta quando c’era il maresciallo di stazione che chiamava a raccolta “i ragazzi del paese” e diceva loro di andare a spegnere gli incendi con mezzi di fortuna. E li spegnevano.

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