Prepariamoci per un ferragosto di fuoco sotto tutti i punti di vista. Ben più grave del surriscaldamento della terra – che questa estate eccezionalmente torrida a nord dell’equatore conferma esistere – è la lite tra il settantenne Donald Trump e il ventenne Kim Jong-un. Entrambi minacciano interventi nucleari. Sembra la traccia di un film di 007 ed invece è la nostra realtà. E la situazione è talmente assurda e surreale che il mondo intero ancora non riesce a crederci: giornalisti, esperti, politici e la gente comune ne parlano senza quella punta di angoscia pre-bellica che ha accompagnato la cronaca della crisi dei missili cubani o la costruzione del muro di Berlino. Il parallelo è corretto perché quella che stiamo vivendo è la crisi politica mondiale più seria da allora.

In primis per capire cosa succede bisogna evitare di soffermarsi sugli aspetti ridicoli dei personaggi. Ignoriamo il taglio di capelli di Kim Jong-un come l’eccessivo uso dei superlativi di Donald Trump. Nell’era dell’intrattenimento visivo questi elementi ci portano a considerare i due personaggi come prodotti di una finzione. Me né TrumpKim Jong-un sono attori del cinema. Su Trump si è già detto di tutto, quindi analizziamo il suo avversario.

Kim Jong-Un è stato catapultato alla guida della Korea del Nord nel dicembre del 2011, dopo appena un anno di apprendistato. Terzo figlio illegittimo di Kim Jong-Il, fu selezionato quale erede in fretta e furia quando divenne evidente che il padre aveva una malattia incurabile e terminale. Nessuno dei primi due rampolli sembrava infatti adatto per la successione. La scelta ha avuto successo dal momento che nonostante la giovane età, Jong-un è riuscito a rimanere al potere ed a consolidarlo fino ad oggi. Il suo successo è dovuto a una formula già sperimentata dal nonno, il leggendario Kim Il-sung, fondatore della Korea del Nord, un misto di repressione e modernizzazione.

Nel dicembre del 2013 Kim Jong-un ha ordinato l’esecuzione dello zio, il generale Jang Song-thaek, marito della sorella di suo padre e uomo più potente della Korea del Nord che doveva essere suo mentore. Subito dopo sono iniziate le purghe dei generali della vecchia guardia. Risultato: una nuova classe dirigenziale – la cosidetta “élite nord coreana” – fedelissima al nuovo leader è passata alla guida del paese. Che una manovra di questo genere sia riuscita in una nazione totalitaria come la Korea del Nord, fa pensare che il giovane Jong-un non sia affatto stupido, ma abbia la stessa stoffa del nonno la cui memoria è ancora oggi celebrata.

Nel febbraio del 2017, Kim Jong-nam, fratello maggiore di Jong-un è stato assassinato all’aeroporto di Kuala Lumpur. Sebbene non avesse alcuna intenzione di sfidare il fratello, il movimento dei dissidenti nord coreani ripetutamente aveva cercato di reclutarlo quale leader alternativo per il paese. Così anche l’opposizione esterna è stata neutralizzata.

Il processo di modernizzazione introdotto da Kim Jong-un include un’apertura minima verso l’iniziativa privata, e cioè il mercato nero viene tollerato, e il coinvolgimento personale del leader e della sua famiglia nella vita di tutti i giorni. Con al suo seguito la moglie e la sorella più giovane, Kim Jong-un visita regolarmente fabbriche, scuole, fattorie e viene ripreso mentre prende il te con giovani coppie o gioca con i bambini dell’asilo. Uno stile che ricorda quello del nonno, completamente diverso, invece, da quello del padre che poiché balbuziente non ha mai fatto un discorso pubblico, né è stato mai visto in pubblico.

E’ chiaro che Kim Jong-un, educato come i due fratelli maschi in Svizzera e tenuto lontano dalla Corea del Nord fino al 2010, vuole ricreare la popolarità del nonno e scacciare l’incubo della carestia degli anni novanta insieme all’immagine dittatoriale del padre. Ma per farlo non basta stringere la mano tutti i giorni a un centinaio di persone: per ottenere il rispetto della popolazione ci vuole qualcosa di eccezionale: il programma nucleare e un nemico esterno da tenere a bada. Non bisogna dimenticare che tra le due Corea non è mai stato firmato un trattato di pace ma solo una tregua. Tecnicamente parlando le due nazioni sono ancora in guerra!

Che dal 2012 la Corea del Nord abbia fatto passi da gigante nel nucleare è un dato di fatto e che questo abbia aumentato la tensione interna non può essere negato. E’ anche vero che tutto ciò rappresenta il deterrente più importante per un leader ancora poco consolidato in un regime totalitario. Ma è anche vero che in questi anni la diplomazia occidentale ed il mondo avrebbero potuto lavorare su questo terreno per evitare la crisi attuale. L’inesperienza di Kim Jong-un poteva essere sfruttata a nostro vantaggio, invece di usare il bastone si poteva provare con la carota. Ed invece non è stato così e il giovane leader è stato progressivamente spinto nell’angolo.

Nel 2015 l’amministrazione Obama ha rifiutato la proposta cinese che prevedeva l’interruzione del programma nucleare della Corea del Nord in cambio della sospensione delle attivita’ militari americane e sud coreane nella regione. Il Giappone e la Corea del sud hanno anche loro rifiutato questa proposta. Quando Pechino ha suggerito all’amministrazione Trump di intavolare simili negoziati alla stesse condizioni, è stato risposto che prima di farlo la Corea del Nord deve sospendere il programma nucleare. A quel punto viene spontaneo chiedersi cosa rimarrebbe da negoziare. 

Come abbiamo già sperimentato nel Medio Oriente, la diplomazia occidentale continua a non essere in grado di gestire la complessità dei nuovi assetti geopolitici, c’è solo da sperare che tutto ciò non sfoci un conflitto nucleare.

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