Nella Liguria, ceduta senza colpo ferire al ForzaLeghismo dai rimasugli burlandiani in rotta, prosegue il singolare esperimento che potremmo definire “berlusconismo in una sola Regione”: governare un territorio virando ogni problema a trovata comunicativa (la comunicazione come sinonimo di promo-pubblicità imbonitoria) e promuovendo a ideologia la sub-cultura da televisione commerciale, in cui “bello” diventa sinonimo di smaccata ostentazione del lusso. L’antico messaggio dei serial americani – da Dinasty a Dallas – padanizzato in Billionaire.

Non per caso, la cabina di regia allestita ai piani alti nella sede genovese dell’Ente regionale (la reggia, a suo tempo affittata da Claudio Burlando e predisposta ad accogliere la cara Raffaella Paita, ora oggetto di una trattativa d’acquisto – appunto, milionaria – da parte del nuovo governatore) vede impegnati nell’operazione in atto due giornalisti di provenienza Mediaset: Giovanni Toti e l’ex collega assessore alla Cultura Ilaria Cavo.

La prima mossa ad alto tasso mediatico si è tradotta nella cafonata di stendere passiere, denominate hollywoodianamente red carpet, lungo i sentieri degli antichi borghi della costa; da Santa Margherita a Portofino e nelle Cinque terre. Luoghi dalla bellezza (montalianamente) “scabra ed essenziale”, violati da una presunta spettacolarizzazione tipo serata degli Oscar e dal fasullo in cartongesso da Disneyland. Non per niente l’iniziativa è stata presentata con l’epigrafe da parvenu provinciale “emozioni da star”.

Un pensiero retrostante, ormai incistato nella testa della borghesia cafona, attualmente egemone in questo tempo e in questa Italia, che ha proseguito nella sua opera di uniformare a sé il paesaggio sociale circostante ridisegnando il vertice della massima istituzione culturale di territorio: la Fondazione Palazzo Ducale, per otto anni affidata alla presidenza di un intellettuale schivo e generoso come Luca Borzani, ora passata alle cure di un altro Luca: il cabarettista Bizzarri.

E a noi liguri è andata pure bene, visto i nomi che erano stati fatti (il dannunziano coprolaliaco Vittorio Sgarbi) e quelli che non erano stati fatti (Barbara d’Urso? Simona Ventura? Paolo del Debbio?). Difatti, il neo-presidente è un giovanotto simpatico e probabilmente sveglio (il modo con cui, insieme al fido Paolo Kessisoglu, ha sostituito l’insostituibile Maurizio Crozza nella cartolina a Di martedì è stato certamente intelligente e apprezzabile). Il problema è un altro, e sta tutto nel viatico della Cavo alla sua candidatura: “Vogliamo un Ducale più glamour“. Tradotto, la sconfortante concezione di cultura come intrattenimento.

Perché l’antico palazzo del Doge non è solo un contenitore da 600mila visitatori annui; non è soltanto una serie di mostre pittoriche spesso giocate sul sicuro. Il Ducale del mio amico Borzani è stato un luogo aperto al dibattito cittadino, stimolato dalla fertile presenza di quanto il panorama intellettuale europeo e mondiale aveva da offrire. Se vogliamo, l’intelligente rivisitazione di due antichi modelli – il sabato letterario e la Casa della cultura – aggiornata grazie a un profondo radicamento nelle problematiche cittadine. Perché il vecchio presidente sapeva tenere insieme la discussione mondiale e il cantiere locale. Lo dico da organizzatore dell’ultimo ciclo di conferenze della passata gestione: il tema della “città come laboratorio di democrazia”, che ha visto discutere con i genovesi architetti dello studio Bohigas di Barcellona o star parigine di Science Po come Patrick Le Galés.

Dunque, l’unico embrione di spazio pubblico al servizio della riflessione civica che aveva bisogno di nuove energie per restare in vita, non di una figura mediatica per catturare sponsor e (dio santo) “fare immagine”. Con tutta la simpatia per Bizzarri, che rischia di finire stritolato da un precedente un po’ fuori portata per le sue forze. Mentre avanza la banalizzazione all’insegna dello showbiz parrocchiale che ha già colpito quel Festival della Scienza novembrino, che coinvolgeva nel suo prezioso endutainment un 170mila partecipanti.

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