L’idea di regalare il riscatto contributivo degli anni trascorsi all’università, dal punto di vista del marketing, è quasi geniale: prometti oggi qualcosa che ha l’apparenza di avere un valore economico consistente, nella piena consapevolezza che, il momento di onorare l’impegno (e sostenerne i costi) verrà in un futuro remoto e dipenderà da fattori al di fuori del tuo controllo. Il tutto con la ragionevole prospettiva che qualcuno prenda per buona la tua promessa e magari ti sia pure grato qualificandoti come “uno che ha fatto qualcosa” oppure “il meno peggio”.

Tuttavia se si prova a grattare la superficie scintillante e a tenere a bada gli entusiasmi emozionali il freddo ragionamento economico finisce per qualificare, utilizzando le parole di Luca de Vecchi su Stradeonline, la proposta come inutile, iniqua e regressiva.

Posto che gli effetti perversi della proposta in discussione sono stati approfonditamente esaminati in altre sedi, vorrei soffermarmi sull’illusione ottica generata dal confronto con il costo del riscatto a titolo oneroso e soprattutto sul funzionamento di fondo del nostro sistema previdenziale.

Quattro anni di contributi gratis ricevuti oggi, varranno qualche cosa in un remoto futuro subordinatamente alle seguenti condizioni:
1. Che qualcuno nel frattempo non cambi di nuovo le regole del gioco (ok, non ridete troppo, si tratta di ironia involontaria);
2. Che siano stati versate N-4 annualità contributive per maturare il diritto a percepire una pensione e che siano raggiunti i corrispondenti requisiti in termini di anzianità secondo le regole in vigore a quell’epoca;
3. Che l’ente previdenziale di riferimento e lo Stato che c’è dietro non solo esistano ancora, ma siano materialmente in grado di tenere fede agli impegni presi.

Dunque il punto zero da portare a casa è che siamo di fronte a una promessa (oggi non c’è nessuno che mette alcuna somma a garanzia dell’impegno futuro) fatta da qualcuno che ha il potere di cambiare le regole per rimangiarsela apertamente o in modo surrettizio e che ha già dato prova di non avere alcuna remora nel farlo.

Il punto uno da tenere presente è che, nella misura in cui non vi sia alcuna garanzia economica, la possibilità materiale di ottenere quanto promesso dipende da quanto è sostenibile il sistema previdenziale. E come funziona il sistema previdenziale? Se date uno sguardo all’ultimo bilancio dell’Inps a fronte di 312 miliardi di prestazioni previste per il 2017 solo 219 miliardi verrà coperto dai contributi che si prevede di incassare. Dunque già oggi il sistema si regge per quasi un terzo su trasferimenti che vengono dalla fiscalità generale.

Che fine fanno le “meravigliose sorti e progressive” derivanti dal riscatto gratuito a fronte dell’idea che già oggi il sistema non è in pari?

Posso comprendere le buone intenzioni di chi vuol fare “finalmente qualcosa per i giovani”, ma mi trovo costretto a chiarire che qui nessuno sta facendo nulla più di una promessa che vale poco più della carta su cui è scritta.

Comprendo molto meno, anzi trovo decisamente deprecabile, l’atteggiamento predatorio/parassitario di chi a cuor leggero propone o abbraccia una soluzione che di fatto scarica gli oneri di aggiustamento su qualcun altro e, men che meno sulle generazioni future, per non parlare degli aspetti redistributivi e dei profili di iniquità di cui si è parlato diffusamente in altre sedi.

E’ assolutamente paradossale che, per ovviare anche solo in parte, ai danni di un sistema che ha consumato in passato a spese di chi produce oggi, non si trovi di meglio che offrire una fragile promessa sulla possibilità di scaricare una parte dei costi su chi verrà domani.

@massimofamularo

Foto tratta dal profilo Twitter StartUp Italia

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