Forse è davvero arrivato il punto esclamativo nella carriera di Christopher Nolan. Dire che fino ad ora mancasse, sfogliando la sua filmografia, potrebbe sembrare blasfemo e forse un po’ lo è, però probabilmente non era ancora arrivata quell’opera definitiva e matura che potesse lasciare tutti ammutoliti e che potesse sgombrare il campo dalle solite critiche radical chic. Nolan ha smesso di dimenticare e di inseguire il passato, ha smascherato tutte le illusioni dei trucchi più intriganti, ha sconfitto persino tutti i suoi oscuri demoni interiori e risolto i labirinti dei suoi sogni arrivando ad oltrepassare i confini dello spazio e del tempo. Ora era davvero il momento di piantare i piedi a terra e presentarsi al primo appuntamento con la Storia. Con Dunkirk Nolan firma un film totale, che prima ancora di essere un film, è un’esperienza totale; è un’esperienza da vivere, da respirare, da soffrire, da sentire, da sopportate, da godere, da amare.

Centosei minuti, non un secondo di più, bastano al regista inglese per raccontare una delle più grandi pagine della storia umana.

Siamo agli albori della Seconda guerra mondiale mondiale e 400mila soldati inglesi e delle forze alleate sono costretti su un lembo di spiaggia con le spalle al mare, braccati dalle forze nemiche. Potrebbe apparire lo scenario di un comunissimo film di guerra, ma quello che lo rende invece qualcosa di unico è come Nolan decida di raccontare questa incredibile avventura passata agli annali come il “miracolo di Dunkirk”.

Come già era successo in passato, Nolan si concentra su un’idea di tempo personalissima e soggettiva che stavolta si amalgamerà ad un’alternanza sontuosa di tre diversi punti di vista concentrici rispetto agli eventi. Gli spitfire danzano in aria facendocene percepire persino la densità, la terra umida diviene la fredda dimora di anime in cerca di salvezza e cadaveri sconvolti da devastanti bombardamenti, l’acqua impietosa ed ignara di tanta sofferenza soffoca qualsiasi grido di dolore e terrore. I tre elementi primordiali diventano l’anima del racconto: potrebbero apparire tre mondi paralleli fisicamente lontani eppure battono all’unisono come unico cuore pulsante di uno storytelling sensazionale per intensità, ritmo e potenza, che trova finalmente nella sintesi la sua totale sublimazione.

Se c’era una critica che in passato si poteva muovere a questo straordinario regista, infatti, era proprio quella di sembrare più un ingegnere del cinema che un grande artista, uno capace di gestire architetture dagli impianti narrativi (ed economici) mirabolanti che però, in alcune occasioni, rischiavano di scricchiolare perché eccessivamente macchinosi. Stavolta Nolan sembra aver fatto tesoro dei propri errori, raccoglie addensa e snellisce tutti i suoi tratti autoriali più vividi e porta il suo sconfinato immaginario cinematografico verso nuovi orizzonti. Non servono parole, non servono protagonisti dai volti noti, non servono neanche le ridondanti scene madre e i classici cliché di un film bellico, questa volta basta uno sguardo diretto verso l’orizzonte o due occhi che si cercano sperando di trovare un sostegno per arrivare all’essenza più pura del cinema e soprattutto al cuore dello spettatore.

Lo schermo si impregna di emozioni, i sensi si acuiscono oltre ogni immaginazione e la grana pastosa della pellicola trova in una messa in scena mai tanto materica e realista la sua perfetta nemesi. Come un grande direttore d’orchestra per immagini, Nolan dirige una sinfonia filmica disorientante, spinge la potenza dell’imax verso vette inesplorate fino ad ora e la sensazione diventa talmente immersiva e viscerale da sembrare quasi insostenibile. Dal primo singolo istante siamo scaraventati all’interno di un’apnea cinematografica dalla quale è difficile riemergere con ogni singolo muscolo del nostro corpo proteso verso una sovrumana lotta per la sopravvivenza.

L’incessante frastuono sonoro che produce Hans Zimmer è estenuante come quel tempo tiranno che non conosce pietà; il ticchettio di un orologio che lega indissolubilmente il destino di migliaia di anime trova pace soltanto nei sensazionali minuti finali, quando ormai la Storia è stata scritta e la tensione che ingabbia ogni fotogramma si scioglie per lasciare spazio ad un pianto liberatorio. Dunkirk è un film che trova sorprendentemente il modo di essere epico ed intimo, crudo e poetico, classico e moderno e, in questa convivenza continua di contrari, si riscopre un’umanità travolgente ed un modo inedito di vivere una storia.

Inutile fare paragoni azzardati con i grandi capolavori del passato, questa volta il giochino dell’esposizione autocelebrativa della propria cultura non funziona: questo film è solo e soltanto di Christopher Nolan e non somiglia a nient’altro visto prima. Porta sullo schermo un’idea di cinema audace che affonda le proprie radici nel passato per guardare al futuro e che imprime un’impronta riconoscibile ad ogni singolo istante. Dunkirk segna un modo nuovo di fruire un film: soltanto in una sala cinematografica è possibile raggiungere quest’orgasmo dei sensi.

E’ presto per parlare di capolavoro o per esprimere giudizi assoluti, ma certamente questa è un’opera che dal punto di vista tecnico, formale ed emotivo entra di diritto tra i più grandi blockbuster di questo millennio e che riesce ad essere l’incarnazione più vera ed autentica del “miracolo di Dunkirk”.

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